Un Dna capace di sopravvivere nello spazio. L’idea di adattare piante alimentari a suoli extraterrestri è solo una delle sfide che attendono gli scienziati
I recenti esperimenti per modificare geneticamente alcuni organismi, in modo da renderli resistenti a condizioni estreme, in vista di future "colonizzazioni" di altri pianeti (Marte)
Le future missioni spaziali e gli avamposti extraterrestri dipenderanno sempre più dall’uso di organismi capaci di sopravvivere in condizioni estreme. Tra i modelli più promettenti troviamo i tardigradi, minuscoli invertebrati noti per la loro incredibile resistenza. Questi esseri microscopici, oltre ad affascinare per le loro capacità uniche, potrebbero offrire soluzioni innovative per sostenere la vita nello spazio, prestando i loro “superpoteri” genetici a organismi utili per alimentare e supportare astronauti e turisti spaziali.
L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha avviato il progetto “Yeast TardigradeGene” (Gene del tardigrado nel lievito), volto a esplorare il potenziale di un enzima, l’ossidasi alternativa mitocondriale (AOX), fondamentale per il funzionamento dei mitocondri, le centrali energetiche delle cellule. L’obiettivo è trasferire questa peculiarità dei tardigradi al lievito “Saccharomyces cerevisiae”, un organismo modello già molto utilizzato in genetica e biotecnologia. Grazie all’editing genetico, si punta a rendere il lievito più resistente, aprendo la strada a future applicazioni per colture agricole destinate agli ambienti ostili, come Marte.
L’idea di adattare piante alimentari a suoli extraterrestri è solo una delle sfide che attendono gli scienziati. Per esempio, su Marte sarà necessario neutralizzare sostanze tossiche presenti nel suolo, come evidenziato da studi riportati su riviste come “Mit Technology Review”. Alcuni studiosi immaginano persino che, in un lontano futuro, l’uomo stesso possa modificare il proprio genoma per prosperare su pianeti inospitali.
L’editing genetico ha già fatto il suo ingresso nello spazio nel 2019, quando l’astronauta della Nasa Christina Koch ha eseguito il primo esperimento di modifica del Dna al di fuori della Terra. Per quanto riguarda i tardigradi, i progressi nel campo del Crispr consentono ora di studiarli più a fondo, accendendo e spegnendo geni per comprenderne le funzioni. Un esempio è il lavoro svolto dall’Università di Tokyo, pubblicato su “Plos Genetics”, che ha utilizzato una tecnica innovativa chiamata Dipa-crispr, in cui le modifiche genetiche vengono trasmesse direttamente alla progenie senza necessità di accoppiamento.
Questa metodologia è facilitata dalla capacità dei tardigradi di riprodursi per partenogenesi, con una maggiore uniformità genetica che semplifica gli esperimenti. Tra i geni più studiati, ce n’è uno che regola la produzione di trealosio, uno zucchero capace di “solidificare” l’acqua cellulare, proteggendo le cellule dalla disidratazione. Una scoperta che potrebbe trovare applicazioni in ambiti inaspettati, come la conservazione di organi per i trapianti.
I tardigradi, con il loro aspetto curioso – un corpo tondeggiante e segmentato, otto zampette e una testa schiacciata – sono presenti in ambienti che spaziano dai ghiacciai alle profondità oceaniche. Per osservarli, come suggerisce Ricki Lewis nel suo blog “Dna Science”, basta raccogliere del muschio o dei licheni, lasciarli in ammollo e analizzarli al microscopio. Ma la vera meraviglia non sta nel loro aspetto, bensì nelle loro capacità: possono sopravvivere a radiazioni mille volte superiori a quelle letali per l’uomo e a condizioni estreme di temperatura e pressione, grazie a un sistema di riparazione del Dna straordinariamente efficiente. Quando le condizioni si fanno proibitive, entrano in uno stato di criptobiosi, sospendendo ogni attività metabolica per anni, se necessario. Questo li ha resi protagonisti di diverse missioni spaziali, tra cui un viaggio sulla Stazione Spaziale Internazionale nel 2011. Nel 2019, però, un tentativo di portarli sulla Luna si concluse tragicamente: la sonda israeliana Beresheet si schiantò al suolo. Nonostante la loro straordinaria resistenza, la pressione generata dall’impatto – pari a 1,14 gigapascal – superò i loro limiti di sopravvivenza. Un evento che solleva questioni etiche sul trasferimento involontario di vita terrestre su altri pianeti.
Nonostante le difficoltà, i tardigradi restano un simbolo di resilienza e una fonte di ispirazione per l’esplorazione spaziale. Studiandoli, è possibile non solo comprendere meglio i limiti della vita, ma anche immaginare applicazioni concrete per migliorare la nostra capacità di adattamento. Dai lieviti potenziati alle colture agricole resistenti, fino alla conservazione di organi umani, questi piccoli “lenti camminatori” potrebbero aiutarci a superare le sfide più ambiziose del prossimo capitolo della storia umana: l’esplorazione e la colonizzazione dello spazio.