Preti con l’odore delle pecore. Il saluto a don Sergio Penazzato, vecchio parroco
Non era un prete “smanettone” don Sergio Penazzato. Nato nel 1936, arrivato a Roncaglia – dove sono nato e dove ho sempre abitato – come giovane parroco nel ’79 e qui di fatto rimasto fino alla morte, lo scorso 14 febbraio, era un prete vecchio stampo, di quelli forgiati nel freddo del Barcon di Thiene.
Non twittava, non postava, non aveva nemmeno WhatsApp. Quando doveva comunicare via mail con la curia, le comunicazioni passavano tramite l’indirizzo della scuola materna. Da vecchio pastore con l’odore delle pecore, però, sapeva nomi, cognomi, indirizzi, storie familiari e genealogie di quasi tutti i cinquemila e passa abitanti di Roncaglia. Malattie, lutti, traguardi, compleanni, lauree, matrimoni. Diffidava della tecnologia. Con una battuta sferzante riportava alla realtà chi per anni lo ha tormentato parlandogli di computer, di telefonini, di carriere fantasmagoriche nel giornalismo, nella comunicazione sociale e nel web. Poi, però, quando quella stessa persona si presentava con l’idea di fare un sito parrocchiale con la scusa di un’esercitazione universitaria, immediatamente estraeva dal portafoglio i 200 euro per le spese di hosting, benedicendo il sito parrocchiale e l’inventiva dei giovani. Come Mosè sul limite della Terra Santa, incoraggiava gli altri ad andare avanti, mentre si fermava sulla soglia. Nei primissimi giorni della pandemia accettava senza alcuna ritrosia di parlare e benedire il suo popolo attraverso le dirette Facebook. Altri ci mettevano il telefono, lui la faccia e il cuore. Il vecchio parroco tridentino che si faceva vicino, negli smartphone, nel tempo della grande confusione. Ora che se n’è andato, su social e sui gruppi WhatsApp scorrono le foto, i ricordi, le preghiere. Le novità fantasmagoriche del mondo nuovo non riducono di un centimetro il bisogno che la Chiesa ha di persone così.