Piazza Insurrezione. Da un secolo in cerca d'identità
Piazza Insurrezione. Piero Casetta ricostruisce la storia, iniziata nel 1921, del simbolo della Padova fascista. Per qualcuno è orrenda, ma è uno scrigno dell'architettura del Novecento
Un pezzo di città fascista – del genere di Sabaudia, Aprilia o Littoria/Latina – a due passi dalle Piazze, cuore medievale della città. C’è chi la definisce uno dei posti più brutti di Padova e in effetti vedendola oggi, ridotta a poco più di un parcheggio, è difficile dargli torto. Eppure piazza Insurrezione, inaugurata nel 1932 come piazza Spalato, ospita anche i contributi di alcuni tra i più importanti architetti italiani dell’epoca, per non dire dell’intero Novecento: Francesco Mansutti e Giulio Miozzo, Giulio Brunetta, Quirino De Giorgio, Giorgio Carli, Giorgio Moschino e soprattutto Gino Peressutti, il “padre” di Cinecittà.
A ricostruirne la storia, in gran parte ancora sconosciuta ai più, è Pietro Casetta nel libro Piazza dell’insurrezione 28 aprile 1945. Guida architettonica e artistica, pubblicato l’anno scorso da Tracciati editore. L’operazione che porta alla realizzazione del complesso urbanistico ha formalmente inizio nel 1921, un anno prima della marcia su Roma, ma si inserirà perfettamente nella rinnovata temperie politica, proponendosi di ridisegnare la città secondo i valori e le esigenze dell’uomo fascista. A guidarla è Gino Peressutti, che oltre a realizzare due dei palazzi più importanti che affacciano direttamente sulla piazza – l’ex Inps e l’ex Itala Pilsen – coordina l’intera iniziativa.
Lo strumento è un “Piano di risanamento” approvato dal consiglio comunale, che in realtà è un vero e proprio piano di sventramento che distrugge l’antico quartiere Santa Lucia, che tra le altre cose comprendeva le case di Pietro d’Abano, Andrea Mantegna e della famiglia Savonarola. Il progetto nasce quindi sotto il segno della speculazione edilizia e della distruzione del tessuto storico della città, e probabilmente avrebbe avuto dimensioni ancora maggiori se nel frattempo non fosse intervenuta la crisi del settore edilizio, che nel 1927 portò al fallimento dell’Associazione padovana edilizia (Ape), l’impresa privata incaricata della realizzazione del piano.
«In caso contrario le demolizioni sarebbero probabilmente arrivate fino a piazza della Frutta», racconta Pietro Casetta, geografo di formazione e giornalista, autore di diversi saggi sulla storia dell’idraulica e del territorio veneti. «A quel punto il Comune si trova una patata bollente da gestire – continua Casetta – I tre edifici principali che affacciano sulla piazza sono completati, ma diversi altri “buchi” provocati dagli sventramenti saranno riempiti solamente nel dopoguerra». I cantieri infatti restano aperti praticamene fino al 1956, quando vengono terminati il condominio Quirinetta (attiguo all’omonimo cinema) e l’ex Inail. Considerando però la profonda ristrutturazione dell’ex palazzo Valle Sport, incastonato tra casa dell’Angelo e l’oratorio di San Rocco (i due edifici più antichi tuttora insistenti sulla piazza) di fatto l’area raggiunge la sistemazione attuale solo alla fine degli anni ’80. Un piano di costruzione che quindi si sviluppa lungo un arco di almeno 30 anni con risultati e stili diversi, eppure abbastanza concordi nel disegnare, un po’ come per la pittura ha fatto la mostra aperta lo scorso gennaio a Palazzo Zuckermann, una sorta di composito ritratto del Novecento padovano. Che ci restituisce un volto forse meno consueto ma più vicino a noi della città che abitiamo, credendo di conoscerla.
Ancora oggi a un occhio educato e attento il complesso di edifici – così diversi dal resto del centro storico per forme e colore, con quel biancore che deriva dall’utilizzo della pietra a vista – offre una lettura interessante e in parte inedita della nostra recente storia culturale e politica, oltre che architettonica. Che mette ad esempio a nudo tensioni e conflitti, non solo estetici, interni allo stesso fascismo, per molti versi lontano da quell’immagine di “pensiero unico” che voleva dare. Mentre infatti nei tre grandi edifici che affacciano sulla piazza prevale un approccio monumentale, che volendo simboleggiare la forza dello Stato sembra quasi schiacciare l’individuo, in altre costruzioni spesso si intravede quello stile architettonico razionalista che deriva direttamente dalle grandi avanguardie del secolo scorso come il Bauhaus.
Nato a Weimar esattamente un secolo fa, nel 1919, quest'ultimo ha tra i suoi massimi maestri personalità come Walter Gropius e Ludwig Mies van der Rohe e lascerà una profonda traccia nell’architettura e nel design contemporaneo, caratterizzandoli nel senso di un nuovo razionalismo che privilegia l’estetica della semplicità, della funzionalità e della tecnologia. In seguito in Germania il nuovo stile viene bandito da Hitler ma si diffonde in tutto il mondo, compresa l’Italia fascista.
Dal punto di vista architettonico il regime mussoliniano oscilla infatti tra la ricerca di un monumentalismo ispirato all’antica Roma e un più marcato razionalismo, che trova ad esempio espressione nella realizzazione dell’Eur e, per fare un esempio padovano, in palazzo Liviano di Gio Ponti. Una dialettica che troviamo nello stesso complesso di piazza Insurrezione, a volte all’interno degli stessi edifici con risultati alterni.
«Gli edifici che incarnano meglio la migliore lezione razionalista, e che hanno anche una qualità estetica migliore, sono proprio gli ultimi realizzati – conclude Casetta – In particolare palazzo Antenore, tra piazza Insurrezione e via Martiri della Libertà, realizzato con soluzioni architettoniche ed estetiche innovative da uno dei più grandi architetti del Novecento italiano, Renato Iscra, e decorato da Giuseppe Santomaso». Un discorso a parte andrebbe anche fatto per gli artisti che hanno decorato con le loro opere i palazzi del complesso, tra cui – oltre al citato Santomaso – il pittore Fulvio Pendini e lo scultore Paolo Boldrin. Completano il quadro altri edifici che hanno forse un valore minore dal punto di vista artistico e architettonico, ma nondimeno hanno contribuito a caratterizzare l’area, come ad esempio palazzo Torre, che con i suoi 61 metri è uno dei primi “grattacieli” della città.
Nata come piazza di rappresentanza, biglietto da visita del regime, poi umiliata e in qualche modo rimossa dall’immaginario collettivo nel dopoguerra, oggi l’intera area di piazza Insurrezione cerca faticosamente un’identità e un ruolo. Capostipite e primo esempio di una serie di operazioni urbanistiche molto dubbie, che hanno alterato in maniera indelebile il volto di Padova, è a sua volta divenuta simbolo di un periodo che, per quanto negativo, fa ormai parte della storia della comunità cittadina.
La regia del "padre" di Cinecittà
Dominus dell’operazione in un primo momento è l’architetto Gino Peressutti, arrivato qualche anno prima da Gemona del Friuli. Conterraneo del vescovo Luigi Pellizzo – fondatore della Difesa del popolo – a Padova aveva già realizzato giovanissimo il suo primo grande progetto: il collegio Antonianum. È noto soprattutto per il complesso di Cinecittà (inaugurata il 28 aprile 1937) e per l’attuale museo della civiltà romana all’Eur.
Il futuro
Negli anni sono stati proposti vari progetti per una riqualificazione della piazza. Tramontato per il momento, anche a causa delle caratteristiche del terreno, il proposito di realizzare un autosilos, si discute da tempo di un ripristino dell’aspetto primitivo dell’area, che comporti la rimozione del parcheggio, oppure in alternativa di soluzioni più innovative, come la realizzazione al centro della piazza di un padiglione trasparente da adibire a negozi o ad attività culturali.
Il volume che mette in luce angoli sconosciuti di storia
Piazza dell’insurrezione 28 aprile 1945. Guida architettonica e artistica, del giornalista e comunicatore Pietro Casetta (2019, Tracciati editore), ripercorre la vicenda storica e artistica del complesso che si è sviluppato intorno a piazza Insurrezione, fornendo un ritratto dei protagonisti e l’analisi dettagliata di tutti gli edifici che sorgono nelle vicinanze. Un testo divulgativo che apre uno scenario su un pezzo della storia della città spesso ignorato: quello dei grandi interventi urbanistici che hanno cambiato e a volte anche stravolto la fisionomia della città, non di rado mossi anche da fini speculativi. Una "rivoluzione" proseguita fin quasi ai giorni nostri, con opere controverse come il tombinamento delle riviere e la realizzazione, a pochi metri da piazza Insurrezione, dei complessi di largo Europa e piazza Conciapelli.
La speculazione edilizia porto il Bauhaus in città
Piazza più brutta di Padova o gioiello nascosto dell’architettura contemporanea? Piazza Insurrezione, oggi utilizzata soprattutto come parcheggio, racchiude in sé questa contraddizione. Nata all’inizio degli anni Venti del Novecento come progetto essenzialmente speculativo, negli anni vede l’intervento di alcuni dei maggiori architetti italiani dell’epoca, dando luogo a soluzioni architettoniche e artistiche di pregio: un piccolo pezzo di città in stile Bauhaus a pochi passi da palazzo della Ragione. Il progetto di "riqualificazione", voluto a tutti i costi dalla classe politica e imprenditoriale della città, non fu però privo di costi: comportò infatti l’abbattimento del quartiere trecentesco di Santa Lucia. A seguito della sua opposizione allo sventramento dell'area, l’allora soprintendente ai monumenti del Veneto, Gino Fogolari, venne addirittura trasferito a Palermo.