Parole come venti minacciosi. Su una terra sconvolta e che cerca di rifiorire
Torneranno uomini e donne della politica a impastare le loro parole con il lievito della responsabilità educativa?
Ci sono venti che soffiano minacciosi su questa nostra terra sconvolta. Due venti che non avremmo voluto sentire. Almeno in questi giorni.
Sono i venti dello scontro tra visioni della realtà e del futuro: da un lato il libro contrapposto al mattone, dall’altro parole di politici scagliate come sassi contro parole di altri politici e viceversa.
Tensioni che si stanno ripetendo nel turbine di una sofferenza che scardina porte e finestre di case e di anime.
Davvero non ci si aspettava che questi venti insorgessero con il rischio di rendere ancor più riarso un terreno assetato di vita, di unità, di speranza.
Si pensava che la tragedia inducesse a non aggiungere disorientamento a disorientamento.
Non è questo il momento di entrare in un’analisi delle ragioni e dei torti.
Le domande però non si fermano: è mai possibile, è mai accettabile che davanti al dolore di persone e famiglie sia impossibile un linguaggio che, senza rinunciare a priorità e identità, non abbia quella durezza e quell’asprezza che rendono ancora più amare queste ore?
Come è possibile che davanti al sacrificio di chi rischia la vita per salvare quella degli altri non ci siano parole che, senza venir meno alla legittima diversità di valutazioni sulle scelte da compiere, evitino di essere diseducative?
Nessuno può mettere in dubbio che pane viene prima della cultura, ma perché non richiamare la priorità, che non è mai separatezza, senza ricorrere a parole sprezzanti?
E’ con grande amarezza che queste domande nascono perché si vorrebbe che un Paese in ginocchio venisse aiutato ad alzarsi, unito e non in frammenti provocati dall’incapacità di dialogare, di “elaborare il conflitto”.
“Confesso che a proposito di tante e smisurate parole, non mi viene in mente niente. Io credo che la politica é altrove e che, prima o poi, dovrete tornarci. Noi vi aspettiamo lì”.
E’ Mino Martinazzoli a ricordare che un popolo merita guide, testimoni e maestri anche nella parola politica. E qui, guardando alla storia del nostro Paese, affiora una grande nostalgia. Nostalgia di un futuro illuminato dal magistero della memoria.
Torneranno uomini e donne della politica a impastare le loro parole con il lievito della responsabilità educativa? Nascerà, dalla sofferta esperienza del limite che il Paese sta vivendo, la consapevolezza che le diversità di pensiero, di valutazione e di proposta non possono e non devono diventare venti minacciosi su una terra sconvolta? Venti che incrinano la speranza, aumentano il disorientamento, accrescono l’amarezza? La risposta verrà, forse non oggi. Oggi è un seme.