Natale nelle missioni diocesane. Ecco la fantasia di Gesù che nasce
Kenya, Thailandia, Ecuador e Brasile sono i Paesi in cui è presente la Chiesa di Padova grazie ai suoi missionari fidei donum. Sono diversi i modi di attendere il Natale, viverlo nel rispetto della cultura locale.
Quest’anno a Mochongoi, il Natale sa di riso e capra. È arrivato con una settimana d’anticipo: domenica 16 il parroco don Sandro Ferretto, da dieci anni fidei donum in Kenya, ha celebrato con father John il “Giubileo dei matrimoni” per 29 coppie di sposi che hanno pronunciato il loro sì davanti a Dio, a conclusione del percorso di fede che li ha impegnati lungo tutto l’anno insieme alla comunità cristiana.
Capra e riso sono le prelibate pietanze in tavola per oltre 3 mila persone che hanno pregato, danzato, cantato al Signore della vita. «Qui le nozze religiose non sono scontate – racconta don Sandro – perché l’uomo deve essere in grado di pagare la dote della moglie; i giovani così iniziano a convivere in attesa di sposarsi dopo aver saldato il debito con il padre della sposa». In dieci anni a Mochongoi, don Sandro ha celebrato 66 matrimoni: solo quest’anno sono stati 35. «Il Natale quest’anno è l’incarnazione della famiglia fondata su Gesù Cristo. Per me, è l’ultimo in un Paese dove non c’è esteriorità. Qui il Natale sono il presepe, la famiglia, l’Avvento vissuto insieme. E mi spaventa lasciare questa semplicità...».
Al Centro Saint Martin di Nyahururu, il Natale arriva puntuale la vigilia, con la messa della notte celebrata nel buio dei quartieri, con un piccolo falò acceso per richiamare i giovani che vivono per strada. «La celebrazione è semplice – sono le parole di don Mariano Dal Ponte, direttore del Saint Martin – e, quando se la sentono, i giovani abbozzano qualche danza, cantano. Avverto la loro umanità e la gioia perché qualcuno almeno per una notte pensa a loro». Il 25, invece, si celebra a rotazione in una delle tre carceri di Nyahururu, le altre due vengono poi visitate il primo gennaio e a Pasqua. Ai detenuti vengono donati un po’ di pane, sapone e un cartone di latte raccolti al Saint Martin perché ognuno si senta pensato, accolto. «È un Natale senza cori e luci, molto ordinario. Ma mi avvicina a quello di Gesù, nato tra i pastori ai margini. In questa gioia disorganizzata, anche celebrando il Natale tra le persone con disabilità e i più vulnerabili seguiti dai nostri programmi risuona l’annuncio che Gesù viene senza discriminazioni».
Lo stupore di un Dio che a Natale si fa uomo: come condividerlo con un popolo che per cultura e religione non ha un concetto di “dio”? È il dilemma che dal 2000 affrontano i missionari triveneti nel nord della Thailandia. Nella diocesi di Chiang Mai tuttavia le realtà in cui operano tre preti fidei donum padovani sono molto diverse tra loro.
A Chae Hom, la sera del 24 si radunerà un migliaio di persone, per lo più dai 25 villaggi sperduti nella giungla, dove vivono le diverse etnie che fanno capo alla missione. «Ogni villaggio sta preparando una stella, grande anche due metri, che rappresenta la venuta di Gesù come la luce che irrompe nel mondo – spiega don Raffaele Sandonà – Faremo un carosello d’auto dall’area del mercato e parteciperanno anche molti buddisti. I ragazzi che vivono tutto l’anno nel centro per studiare metteranno in scena il significato del Natale, ma prima ci sarà una cena condivisa con piatti tipici di ogni villaggio e la messa serale».
A Lamphun la preparazione è già iniziata: «Nei due scorsi venerdì, siamo stato al night bazar e abbiamo consegnato brevi opuscoletti sul Natale – racconta don Attilio De Battisti – È un piccolo tentativo di incontrare un popolo che legge molto poco». La sera del 24, la messa è alle 19, e poi canti, musica e cibo. Il 25 sarà lavorativo: «Il consumismo dilaga in Thailandia e Asia: la ricerca di ciò che è estetica e apparenza è fortissima. Così non incoraggiamo altri segni se non il presepe, a cui quest’anno colleghiamo i 350 anni dall’inizio della missione cristiana nel Paese e le undici diocesi attuali».
Se le chiese dei quartieri di Guayaquil (Ecuador) straripano nelle celebrazioni della notte (misa del gallo), nel “campo” – la zona rurale di Los Recintos – il Natale si celebra a cielo aperto al termine della novena con la processione dei bambini che, intonando i tradizionali canti, rappresentano personaggi e animali del presepe. «In quelle comunità in cui si respira il profumo della paglia del riso appena tagliato – spiega don Saverio Turato – “facciamo nascere” Gesú nel pomeriggio di domenica 23, ovvero quando lo decide la comunità e scavalcando ogni calendario convenzionale. Invece, nelle parrocchie di Nuestra Señora del Perpetuo socorro (Arbolito) e di San Francisco de Asís, di cui siamo parroci don Mattia (Bezze, ndr) e io, è tradizione pregare la novena con le parole di un antico canto, nelle case o nei settori chiedendo ospitalità come fecero da sfollati Giuseppe e Maria. L’ultimo giorno, in preparazione alla messa della notte, i giovani propongono il presepe vivente itinerante lungo le strade della parrocchia. E non può sorgere il giorno se non si festeggia in famiglia la noche buena con i piatti della tradizione. Nulla di surreale in questa parte di mondo dove la frenesia e la plasticità non trovano spazio, anzi proprio là, nella natura e nelle povertà, c’è bisogno di annunciare e costruire la Vita nuova».
A Roraima, nel Nord del Brasile, dove operano da inizio 2017 i fidei donum padovani, non si avverte una grande predisposizione al Natale. Il periodo coincide con fine anno, con il termine dell’anno pastorale, l’inizio delle vacanze. In una terra di emigranti, la maggior parte torna dai parenti verso Nordest. «La parrocchia di Caracaraì (tre volte la Regione Veneto, ndr) si svuota – racconta don Giuseppe Cavallini, da un anno a Roraima – Per questo ci siamo concentrati anche quest’anno su Santa Lucia: abbiamo vissuto insieme la novena di preghiera nelle zone più povere della parrocchia dove cerchiamo di sviluppare la pastorale. Poi ci siamo concentrati sull’Avvento, promuovendo la preghiera in famiglia. La settimana prima di Natale, abbiamo organizzato un ritiro di tre giorni nella comunità Fazenda de Esperança per i giovani dipendenti chimici: un modo per collegare la “rinascita” al Natale e dare un senso diverso alla propria vita».
Le celebrazioni si concentrano il 24, seguite dalla festa in famiglia; il 25 è già tempo di partenze. «All’interno, nella foresta, con alcuni celebreremo la messa e, dove non riusciamo ad arrivare per la troppa distanza, si celebrerà la liturgia della parola. Serve tanta fantasia per raggiungere tutti».