Mosè. Mosè non è lasciato solo, ha delle persone con cui condivide il peso della missione: i suoi fratelli
Ognuno ha il suo compito e a quello è chiamato e quando qualcuno sbaglia, c’è sempre bisogno di un surplus di misericordia, di pazienza, di capacità di perdono.
Tra i protagonisti della storia biblica Mosè è uno dei personaggi di maggiore fascino e con una vicenda alquanto avventurosa. Egli è l’uomo che il Signore sceglie per condurre il suo popolo fuori dal paese di Egitto, ma è anche quello a cui Dio affida le parole dell’Alleanza, le famose tavole della Legge. Mosè è un uomo di cui possiamo intuire fin dall’infanzia una particolare predilezione, ma anche un carico di responsabilità enorme. La sua nascita già lo pone in una condizione di precarietà e privilegio allo stesso tempo. Per paura che venga soppresso, la madre lo affida al Nilo in un cestello di papiro. La figlia del faraone lo trova e ne ha compassione e la sorella del bimbo che ha visto tutto ottiene che sia affidato alla madre naturale perché lo allatti fino allo svezzamento (Es 2, 1-10).
Poi di questo ragazzo cresciuto alla corte del faraone come figlio adottivo non sappiamo più niente fino a quando non si macchia di un omicidio: uccide un egiziano che vede alzare la mano contro un ebreo, lui sa della sua origine, si sente chiamato in causa e ha uno scatto di violenza. La voce si sparge ed egli per paura di essere incarcerato, fugge a Madian, sui monti, dove il pastore Ietro lo prende a lavorare con sé e gli dà anche in moglie la figlia Sipporà (Es 2, 11-22). Come di consueto la storia così lineare non appartiene ai disegni di Dio. Mosè è protagonista di una vera e propria vocazione: il Signore si manifesta a lui nel roveto ardente che non si consuma e lo invita a tornare in Egitto, proprio da dove è fuggito e a liberare il suo popolo, ad essere il suo condottiero e profeta fra gli Israeliti (Es 3). Di fronte a tutto questo Mosè, l’unico uomo che parlerà “faccia a faccia” con Dio, si sente del tutto inadeguato, mette avanti le mani, dice che non potrà essere lui a parlare per conto di Dio perché è balbuziente dalla nascita. A questo punto fa il suo ingresso un altro fratello importante: Aronne, il levita. Il Signore è come se dicesse a Mosé: hai sempre avuto questo alleato fedele e a te complementare, come hai fatto a non immaginare che te lo avrei messo a fianco a servizio della missione comune a voi affidata? (Es 4, 10-17).
Da questo momento il fido Aronne è sempre al fianco del fratello, gli fa da megafono… Mosé parla con Dio, Aronne col faraone, con il popolo… sono inseparabili e svolgono funzioni differenti. Questa è la bellezza della loro relazione e a questa si aggiunge quella della sorella Maria che avevamo conosciuto all’inizio della storia. Maria, anch’essa definita profetessa, canta mirabilmente, seguita dalle altre donne, dopo che il popolo ha passato indenne il Mar Rosso e l’esercito egiziano è stato sbaragliato (Es 15, 20-21). Allora ci rendiamo conto che Mosè non è lasciato solo, ha delle persone con cui condivide il peso della missione, i suoi fratelli sono preziosi eppure l’insidia è dietro l’angolo. Quando Mosé “tarda” a scendere dal Monte Sinai, dove è a colloquio con Dio, il popolo insorge, fa ressa contro Aronne e in sostanza lo induce a cedere alla tentazione di forgiarsi un idolo, il vitello d’oro. Mosé sarà molto duro con il fratello al suo ritorno perché questi non ha saputo tenere il punto, si è fatto persuadere da coloro che – dice la Bibbia – “non avevano più freno” (Es 32). Si tratta di una vicenda significativa: sono saltati i ruoli e Aronne non è più nel suo… cede al volere della folla, il suo carisma non basta.
La giusta via è percorsa quando ognuno sa quale sia il suo compito e mantiene il suo posto nella cordata. Anche in un’altra occasione i fratelli di Mosè perdono il loro ruolo solidale nei confronti del fratello, leader indiscusso del popolo. È una vicenda raccontata nel capitolo 12 del libro dei Numeri (Nm 12, 1-16): Maria e Aronne rivendicano un ruolo superiore di quello che hanno avuto nel coadiuvare il fratello e come pretesto gli rimproverano di non avere una moglie ebrea, ma etiope e a questo punto l’ira di Dio non si fa attendere: Maria viene colpita nel corpo e resa lebbrosa. A sorpresa è Mosè stesso a intercedere perché la sorella non muoia e così avviene: dopo alcuni giorni di quarantena la donna viene riammessa nella comunità. “Non allargarsi”, potremmo dire oggi, è questo che ci viene chiesto, anche in famiglia, dove fra fratelli è auspicabile che viva l’amore. Ognuno ha il suo compito e a quello è chiamato e quando qualcuno sbaglia, c’è sempre bisogno di un surplus di misericordia, di pazienza, di capacità di perdono. Mosè si comporta da uomo di pace e non approfitta del favore di Dio per rivalersi sulla sua congiunta che lo aveva diffamato. Ancora una volta il racconto biblico non ci narra la perfezione della famiglia ideale, ma come, all’interno delle dinamiche tutte umane che si sviluppano nella relazione famigliare, il Signore sappia valorizzare i germi di bene che gli uomini e le donne seminano lungo il loro cammino, anche dopo aver sbagliato, anche dopo essere caduti. L’uomo di Dio non è chi non cade, ma chi, sperando in Lui, sa rialzarsi.