Migranti, Oim e Unhcr: non utilizzare il Covid per negare la protezione internazionale
Le due organizzazioni esprimono profondo dolore per la tragica morte di almeno 45 migranti e rifugiati il 17 agosto. Da questo incidente nasce l'appello affinché "si riveda l'approccio degli Stati alla gestione dei soccorsi nel Mediterraneo"
"L'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), e l'Unhcr, Agenzia Onu per i rifugiati, esprimono profondo dolore per la tragica morte di almeno 45 migranti e rifugiati il 17 agosto, in quello che è il naufragio di maggiori proporzioni registrato al largo della costa libica quest'anno". Riporta la nota congiunta, sottolineando che i "circa 37 sopravvissuti, provenienti principalmente da Senegal, Mali, Ciad e Ghana, sono stati soccorsi da pescatori locali e posti in stato di detenzione dopo lo sbarco. Questi hanno riferito al personale dell'Oim che altre 45 persone, compresi cinque minori, hanno perso la vita a causa dell'esplosione del motore dell'imbarcazione al largo della costa di Zuara".
Da questo incidente nasce l'appello delle due organizzazioni affinché "si riveda l'approccio degli Stati alla gestione dei soccorsi nel Mediterraneo. È necessario rafforzare con urgenza le attuali capacità di ricerca e soccorso volte a rispondere alle richieste di soccorso. Si continua a registrare l'assenza di programmi di ricerca e soccorso dedicati e a guida Ue. Temiamo che senza un incremento immediato delle capacità di ricerca e soccorso, ci sia il rischio che si verifichino disastri analoghi a quelli in cui si è registrato un elevato numero di morti nel Mediterraneo centrale, prima del lancio dell'operazione Mare Nostrum".
All'appello aggiungono che "le imbarcazioni delle Ong hanno svolto un ruolo fondamentale nel salvataggio di vite umane in mare a fronte di una drastica riduzione degli interventi condotti dagli Stati europei. L'imperativo umanitario che impone di salvare umane non dovrebbe essere ostacolato e le restrizioni legali e logistiche al lavoro da esse svolto devono essere revocati in tempi rapidi".
L'Unhcr e l'Oim esprimono "forte preoccupazione per i recenti ritardi nelle operazioni di ricerca e soccorso. Esortiamo gli Stati a rispondere rapidamente al verificarsi di tali eventi e a mettere a disposizione in modo sistematico e strutturato un porto sicuro per le persone soccorse in mare. I ritardi registrati nei mesi recenti, e l'omissione di assistenza, sono inaccettabili e mettono vite umane in situazioni di rischio evitabili. Nei casi in cui le navi mercantili si trovano a essere le più vicine imbarcazioni in grado di prestare soccorso, dovrebbe essere garantito loro prontamente un porto sicuro presso cui far sbarcare i passeggeri soccorsi. Non si dovrebbe intimare loro di ricondurre le persone in Libia, dove sarebbero a rischio di ritrovarsi in aree segnate da conflitti, di subire gravi violazioni di diritti umani, e di essere sottoposte a detenzione arbitraria post-sbarco".
Va ricordato, come riportano le due organizzazioni nella nota congiunta, che "la responsabilità di effettuare le operazioni di soccorso è esercitata con sempre maggiore frequenza da imbarcazioni dello Stato libico, prassi per cui finora oltre 7.000 persone sono state ricondotte in Libia nel 2020. Qualunque tipo di assistenza e responsabilità esercitate da enti libici competenti per le operazioni di ricerca e soccorso dovrebbero essere assegnate a condizione che nessuna delle persone soccorse sia posta arbitrariamente in stato di detenzione, maltrattata o sottoposta a violazioni di diritti umani nelle fasi successive allo sbarco. In assenza di tali garanzie, dovrebbe essere riconsiderata ogni forma di supporto e le responsabilità di ricerca e soccorso ridefinite".
Il bilancio dei morti in mare è di "almeno 302 migranti e rifugiati che hanno perso la vita lungo questa rotta finora nell'arco di quest'anno", anche se secondo i dati dell'Unhcr e del progetto Missing Migrants implementato dall'Oim, si stima che il numero attuale di decessi sia probabilmente più elevato di quello ufficiale".
In un contesto segnato dalla pandemia da Covid-19, "due terzi degli Stati europei hanno trovato il modo di gestire i propri confini in modo efficace consentendo, allo stesso tempo, l'accesso sul proprio territorio alle persone in cerca di asilo. Controlli medici effettuati alle frontiere, certificati di buona salute o periodi di quarantena temporanei all'arrivo sono alcune delle misure implementate da numerosi Paesi europei ed extraeuropei. La pandemia- sottolineano le organizzazioni- non deve essere utilizzata come una scusa per negare l'accesso a tutte le forme di protezione internazionale".
"Oltre 17mila persone sono approdate in Italia e a Malta quest'anno via mare dalla Libia e dalla Tunisia, un incremento tre volte maggiore rispetto al 2019. Tuttavia, il numero è calato drasticamente rispetto agli anni precedenti il 2019 ed è gestibile se vi sono volontà politica e solidarietà da parte dell'Ue nei confronti degli Stati costieri europei".
Concludono quindi con una richiesta esplicita agli Stati europei: "abbandonare con urgenza l'approccio che prevede l'adozione di accordi ad hoc in favore di un meccanismo di sbarco più rapido e strutturato", perché "l'instabilità e l'assenza di sicurezza in Libia permettono alle reti del traffico, della tratta e del crimine in generale di agire impunemente ai danni di migranti e rifugiati vulnerabili".
L'Unhcr e l'Oim si appellano anche alle autorità libiche affinché "adottino misure decise contro i trafficanti. Tali misure dovrebbero prevedere la necessità di smantellare e porre fine alle organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani per prevenire il verificarsi di ulteriori casi di sfruttamento e di abusi. La comunità internazionale dovrebbe sostenere tali sforzi e assicurare maggiore supporto alle autorità nella lotta contro le reti della tratta di esseri umani". (DIRE)