La pastorale telefonica e altre meraviglie dei tempi moderni
Privati del contatto umano, chiusi in casa e relegati a guardare la televisione, stiamo riscoprendo quel grande prodigio tecnologico —dato troppo spesso per scontato — che è il telefono.
Mai come in questo periodo mi sono accorto di quanto la mia vita sia vincolata ad uno schermo.
Qualche settimana prima della quarantena, ho abbandonato ogni pudore contabile e ho deciso di spendere una buona parte del mio stipendio per comprare un iPad.
Non ci ho dormito per un paio di notti, lo ammetto, incerto com'ero se giustificarlo a me stesso come un genere di conforto o un valido strumento di lavoro. Alla fine è bastato un click e via, carta di credito alleggerita e un nuovo giocattolo da sperimentare.
Solo ora mi rendo conto di quanto provvidenziale sia stato quel momento di shopping notturno: senza questi dieci pollici di luminoso vetro temperato, oggi forse non potrei lavorare in modo smart, con buona pace della rivoluzione digitale.
Così, ogni mattina, il mio studio si trasferisce nella canonica del borghetto e si divide equamente fra lo schermo dell’iPad e quello del telefono, dove si affollano i messaggi dei colleghi per dividersi ed organizzare il lavoro.
L’intero ufficio è migrato, nel giro di poco tempo, in un gruppo di whatsapp appositamente costituito, ricreando ai quattro cantoni del Veneto la parvenza d’essere ancora tutti nel nostro primo piano veneziano.
La sera, poi, non è raro che la monotonia televisiva — gente chiusa in casa che guarda un canale dedicato ad altre persone che ristrutturano casa, arredano casa e cucinano, in casa — venga interrotta da uno squillo ad annunciare una raffica di fotografie, una telefonata dal paese lontano o un semplice messaggio.
Si scoprono nuovi amici e se ne ritrovano di vecchi, in questo periodo di apparente solitudine domestica dove la telefonata è quasi una liberazione e la videochiamata spesso un festoso rito collettivo. C’è chi si fa sentire e chi invece si nega ma fa tutto parte del gioco, con le sue grandi vittorie e piccole miserie.
Anche Don Fabio passa buona parte della sua mattinata fra una telefonata e l’altra — letteralmente una chiamata all’appello, famiglia per famiglia, dei parrocchiani del paese —, sento il telefono squillare dalla sua stanza e la gioia nella risposta.
È la pastorale telefonica quella a cui assisto quotidianamente, che comincia con la diretta Facebook della messa trasmessa via smartphone e si conclude forse a tarda sera quando, nella chat dei fedeli del paese, arriva un brano del Vangelo da leggere e, magari, commentare insieme.
Anche il parroco della mia parrocchia di pianura ha fatto di necessità virtù, diffondendo quotidianamente brevi messaggi audio in cui spiega la Parola via whatsapp e così facendo ordisce la trama di una comunità altrimenti dispersa e impaurita.
Probabilmente ha ragione l’arcivescovo di Parigi, Michel Aupetit «quando hai sete — spiega il monsignore — diventi sempre più assetato. E quando ci viene data l’acqua, beviamo in abbondanza». Non si spiegherebbero altrimenti le decine di fedeli del borghetto che, quotidianamente, si connettono all’unisono e non perdono una funzione o un rosario al pari di tanti che, forse per la prima volta, hanno scoperto dove sta nel telecomando Tv2000.
A cercar bene fra mille sciocchezze e poche buone notizie, si trovano su Facebook anche le dirette delle messe in rito romano antico, con i canti e le letture in latino, celebrate in una bella chiesa veneziana. I tempi cambiano e si fanno burrascosi, ma nessuno ha intenzione di rimanere indietro.