La “carità del Papa” e quella censura piombata su don Mazzolari
Vede la luce, grazie all'impegno della storica Marta Margotti e della Fondazione Mazzolari, un volume a suo tempo richiesto dal Vaticano al parroco di Bozzolo che, però, venne pubblicato solo molti anni dopo la sua morte. "La carità ha vinto la guerra" è il titolo, per i tipi di EDB. Don Primo si era a lungo impegnato per raccontare le opere di solidarietà della Poa nel secondo dopoguerra. Una vicenda della quale solo ora, dopo un lungo lavoro archivistico, si comprendono aspetti inediti
“La carità ha vinto la guerra” è l’ultimo libro scritto tra il 1956 e il 1957 da don Primo Mazzolari (Cremona, 1890-1959). L’autore, però, non lo vide mai pubblicato. “La decisione di censurare il libro non provenne dal Sant’Offizio e non aveva ragioni dottrinali, come accaduto in occasione della altre condanne cadute sul parroco di Bozzolo”. Questo è ciò che emerge dall’analisi dei documenti inediti consultati negli archivi vaticani da Marta Margotti (nella foto) che ha curato l’edizione critica del volume ora pubblicato dalle Dehoniane di Bologna.
Margotti, docente di Storia contemporanea all’Università degli studi di Torino e componente del Comitato scientifico della Fondazione Mazzolari, spiega che don Primo fu incaricato all’inizio del 1956 di scrivere la storia della Pontificia Opera di assistenza, “l’ente vaticano che durante il secondo conflitto mondiale e nel dopoguerra gestiva la raccolta e la distribuzione di aiuti in Italia destinati agli indigenti”. Le notevoli risorse della Poa “provenivano dalle offerte dei fedeli, dai fondi della Santa Sede, dalle organizzazioni caritative statunitensi, ma anche dai finanziamenti del governo italiano e anche dagli aiuti del Piano Marshall”. La Poa cessò poi le sue attività nel 1970.
Nell’intenzione di mons. Ferdinando Baldelli, presidente della Pontificia opera di assistenza, il libro, spiega Margotti, “avrebbe dovuto intitolarsi ‘La carità del Papa’ ed essere un omaggio a Pio XII. In realtà, mons. Baldelli aveva necessità di promuovere l’attività dell’ente che dirigeva attraverso un libro che doveva descrivere le sue multiformi iniziative assistenziali: distribuzione di cibo e vestiario, sussidi agli indigenti, ricovero ai profughi, assistenza a pescatori, pastori e contadini, interventi in caso di alluvioni e terremoti, ma anche scuole professionali, gestione di colonie estive per l’infanzia, sostegno agli emigranti italiani”.
Il parroco di Bozzolo, intenzionato a svolgere un lavoro scrupoloso, si recò poi più volte a Roma per consultare le carte della Poa“che furono alla base della sua documentata ricostruzione. All’inizio del 1957, don Primo inviò a Roma le ultime parti del suo dattiloscritto che però rimase chiuso nei cassetti di mons. Baldelli”.
Il libro è stato pubblicato per la prima volta, postumo, nel 1991 dalle Edizioni Paoline. L’attuale edizione critica delle EDB è basata sul confronto tra i fogli manoscritti di Mazzolari e le tre successive versioni del dattiloscritto presenti nell’archivio Mazzolari a Bozzolo, nelle carte della Poa, conservate nell’Archivio apostolico vaticano, e nei fascicoli del Sant’Offizio.Insieme alle vicende che indussero Baldelli a insabbiare il testo, il libro di Mazzolari è estremamente rilevante per i suoi contenuti.
La prima parte è una meditazione sulla misericordia di Dio e sulla “perenne maternità della Chiesa”.
Le parole sulla carità scritte da don Primo riflettono poi la sua vita di parroco nella Bassa padana trascorsa insieme alla “povera gente”. “Non erano teoremi astratti, ma i volti e le storie di braccianti, operai, disoccupati di cui aveva ben presenti le misere condizioni di vita”, sottolinea la professoressa Margotti. “E in quei volti e in quelle storie aveva visto Dio. Dal suo punto di vista, per chi sa vedere, Dio si incontra nel povero; per chi sa ascoltare, Dio parla nel povero”.
Mazzolari difendeva l’azione svolta dalla Chiesa, soprattutto durante la seconda guerra mondiale, e polemizzava in maniera indiretta con chi accusava le istituzioni cattoliche di aver approfittato delle gravi difficoltà per offrire i propri servizi e aumentare così la propria presa sulla popolazione. Per don Primo, “il significato del ‘servire’ viene così capovolto, e chi si mette in ginocchio, nel cenacolo della storia, per lavare i piedi dei poveri, viene considerato aspirante al dominio del mondo al pari di chi usa la forza per raggiungerlo”. E si chiedeva:“Se questa del fare il bene è pure una strada che conduce al medesimo scopo, come mai non viene camminata da molti, in una gara che non creerebbe miserie né lutti?”.In modo pungente, Mazzolari affermava: “La concorrenza nel bene è l’unica che potrebbe essere, non dico consigliata, ma comandata al posto della strada degli armamenti. La Chiesa non semina discordie né predica guerre per offrirsi l’occasione di mostrarsi misericordiosa. Dopo averle deprecate e condannate con tutte le sue forze e severamente ammonito i fautori di esse […], scende in campo per riparare i mali di conflitti non voluti. E se in essi ha dovuto assumere degli uffici e provvedere in luogo di questi e di quelli – lo ripetiamo – la colpa è di coloro che, dopo aver scatenato l’inferno, non seppero farvi fronte, e hanno abbandonato al proprio destino i popoli, cui avevano promesso prosperità, potenza e gloria”.
La parte conclusiva del libro è poi una rilettura dell’“inno della carità” e un preoccupato appello alle ragioni della pace: per don Primo, la carità era non soltanto una chiamata inevitabile per i cristiani, ma era anche il fondamento della pace, perché “per dove è passata la carità, ripassano a fatica i carri armati”.