L’orsa Ina e noi. Quando tutto sarà finito, gireremo in tondo in una gabbia immaginaria?
Anche a noi si è stretto il cuore quando abbiamo visto l’orsa Ina girare in tondo all’infinito, dopo essere stata liberata dalla gabbia in cui aveva vissuto per vent’anni. Ormai incapace di vivere in libertà, si è costruita tutto intorno una sorta di gabbia immaginaria. Quei fotogrammi parlavano di noi, di ciascuno di noi. Di come siamo e di come potremmo diventare. Di noi che da un anno ormai viviamo in gabbia, al pari di quell’orsa. Autoprigionieri del virus che ha cambiato così profondamente la nostra vita da indurci alle domande più improbabili. Ecco, noi tutti, quando sarà raggiunta l’immunità di gregge grazie alla vaccinazione e saranno disponibili le cure con anticorpi monoclonali, come ci saremo ridotti?
Anche a noi si è stretto il cuore quando abbiamo visto l’orsa Ina girare in tondo all’infinito, dopo essere stata liberata dalla gabbia in cui aveva vissuto per vent’anni nello zoo romeno di Piatra Neamt. Ormai incapace di vivere in libertà, si è costruita tutto intorno una sorta di gabbia immaginaria.
Dopo un primo smarrimento, abbiamo capito perché quelle immagini stavano facendo presa sul nostro animo. Non era solo pietà per quel povero animale. Sì, c’era dell’altro. Quei fotogrammi parlavano di noi, di ciascuno di noi. Di come siamo e di come potremmo diventare.
Di noi che da un anno ormai viviamo in gabbia, al pari di quell’orsa.
Autoprigionieri del virus che ha cambiato così profondamente la nostra vita da indurci alle domande più improbabili. Condannati a forme di controllo sociale che mai avremmo immaginato nel corso di una vita libera.
Destinati a reinventare ogni forma di socialità in versione virtuale.
Costretti a porre in essere una lunga serie di gesti difensivi (mascherine, distanziamento sociale, igiene personale). Sorvegliati e circospetti in ogni forma di relazione. Attenti a rinunciare ad ogni contatto fisico: strette di mano, abbracci, baci, pacche sulle spalle, carezze. Pronti a lavorare e studiare a distanza, per chi ha potuto permetterselo, grazie alle nuove tecnologie. E se impossibilitati, costretti a uscire di casa sapendo di poter essere contagiati e quindi di mettere a rischio la propria vita e quella di parenti e amici. Impossibilitati per giorni, mesi e chissà per quanto altro tempo ancora a viaggiare, a spostarci anche solo da una città all’altra e spesso persino da un quartiere all’altro.
Ecco, noi tutti, quando sarà raggiunta l’immunità di gregge grazie alla vaccinazione e saranno disponibili le cure con anticorpi monoclonali, come ci saremo ridotti?
Saremo anche noi come quell’orsa oramai disorientata da una vita trascorsa in gabbia e ripercorreremo, per sicurezza, soltanto i soliti passi? Sapremo riprenderci le nostre vite e non restare prigionieri di questa gabbia immaginaria fatta di mille divieti e rinunce che ci siamo prudentemente autoimposti? Riusciremo a riannodare tutti i fili delle nostre molteplici relazioni sociali o preferiremo, soprattutto se già malati di solitudine, rintanarci nel nostro angusto spazio vitale di pura sopravvivenza?
Torneremo a mettere in conto una quota di rischio che c’è sempre nella vita di ciascuno e che ci fa scegliere di avere un figlio, di intessere una relazione sentimentale, di cambiare luogo di vita e di lavoro, di avviare un’impresa con tutte le fatiche e gli imprevisti che questa scelta comporta?
Riprenderemo a frequentare le palestre e le librerie, a ritrovarci al solito bar, a partecipare ai corsi di danza, ad andare a messa la domenica? Ci farà piacere tornare a dare una mano al sindacato, al partito, al gruppo parrocchiale, all’associazione di volontariato? Andremo alla presentazione di un nuovo libro e parteciperemo ancora ai concerti? Ritorneremo al parchetto vicino casa con i bambini e ci siederemo sulle panchine a prendere il sole?
Troppo ci è stato tolto e per troppo tempo.
Tutto è stato compresso, all’inverosimile, in una zona virtuale della nostra esistenza. Molto ci è stato sottratto e poi concesso, in una esasperante altalena decisionale.
Quanto basta per farci dubitare di tutto e della nostra possibilità di tornare ad essere, sino in fondo, noi stessi.
L’immagine angosciante dell’orsa che gira in tondo è esattamente la metafora di questo nostro tempo in cui la libertà personale è sospesa. Riprendercela sarà faticoso e forse anche doloroso. Ma dovremo farlo, perché la libertà ci rende quello che siamo: umani.