L’impatto della pandemia: cambiate le relazioni sociali, brusca caduta dell’occupazione

Rapporto annuale Istat. Tra i paesi europei l’Italia ha subito la caduta dell’occupazione maggiore dopo la Grecia (-5,1%) e la Bulgaria (-3,6%). E anche la ripresa osservata nel 2021 in media Ue27 (+1,5%) ha visto il nostro Paese relativamente più penalizzato. Più alto il costo pagato dalle donne e dai giovani. In ripresa matrimoni e unioni civili, crollo delle nascite

L’impatto della pandemia: cambiate le relazioni sociali, brusca caduta dell’occupazione

In Italia, dall’inizio dell’epidemia (marzo 2020) fino a fine aprile 2022 sono stati segnalati oltre 16 milioni di casi confermati di infezione da Sars-CoV-2 e circa 160 mila decessi associati alla diagnosi di infezione. Il 48% dei decessi è avvenuto nel 2020, il 37% nel 2021 e il 15% tra gennaio e aprile 2022. A dirlo è l’Istat nel suo Rapporto annuale 2022.

Nel confronto con il quinquennio pre-pandemico 2015-2019, nel 2021 si continua a registrare un eccesso di mortalità totale (63 mila unità in più), ma in calo rispetto al 2020 (-37 mila), anche nei segmenti più colpiti dalla prima fase della pandemia.
Nell’Ue27 il totale dei decessi in eccesso ha superato i 500 mila nel 2020 e i 650 mila nel 2021, con un contributo dell’Italia che è passato dal 19% circa del primo anno di pandemia a meno del 10% nel 2021 e nei primi mesi del 2022.
Nel nostro Paese il tasso standardizzato di mortalità (885 decessi per 100 mila abitanti) è in calo nel 2021 rispetto al 2020 (941) e si conferma ben sotto la media europea (1.056) che, al contrario, registra ancora nel 2021 una crescita sull’anno precedente. Nei primi due mesi del 2022 il trend decrescente del tasso standardizzato italiano prosegue e inizia anche a livello europeo.

Italia e Spagna sono tra i paesi Ue27 più colpiti dalla prima ondata della pandemia, con un incremento del tasso standardizzato di mortalità che tocca il punto di massimo rispettivamente a fine marzo (+76,8%) e all’inizio del mese di aprile 2020 (+140,8%). Nei paesi dell’Est Europa l’epidemia ha prodotto i suoi effetti più devastanti solo nei mesi successivi, con incrementi percentuali del tasso standardizzato che nella seconda metà di ottobre 2021 ha raggiunto il +122% in Romania, seguita da Bulgaria e Slovacchia (rispettivamente +90,8% a inizio novembre e +78,9% a inizio dicembre).
L’elevato eccesso di mortalità registrato nei due anni di pandemia ha comportato una diminuzione della speranza di vita in quasi tutti i paesi europei, seppure di entità e durata differenziate. In Italia e Spagna il calo si è concentrato nel 2020 con un accenno di ripresa nel 2021. In altri paesi, in particolare dell’Est europeo, la riduzione è stata accentuata soprattutto nel 2021. Alcuni, come Finlandia e Danimarca, non hanno registrato variazioni di rilevo nel biennio pandemico.
Per l’insieme dell’Ue27 l’eccesso di mortalità è stato leggermente più elevato tra gli uomini, sia nel 2020 (+6,3% contro +5% per le donne) sia nel 2021 (+7% contro +6,5%). Lo svantaggio degli uomini è stato osservato anche in Italia ma solo nel 2020, annullandosi nel 2021.
In Italia, nel 2020, l’eccesso di mortalità si è manifestato a partire dalla classe di età 45-59 anni (+2,5%), superando l’11% a partire dai 70 anni. Nel 2021, l’eccesso di mortalità è risultato simile a quello del 2020 nella classe 45-59 anni mentre è diminuito negli altri segmenti di età, soprattutto a partire dagli 80 anni, come accaduto anche in altri paesi che hanno avviato tempestivamente la campagna vaccinale tra gli anziani.
La mortalità dovuta al Covid-19 ha colpito più duramente gli stranieri nati in aree extra-Ue a forte pressione migratoria (FPM): nei primi due mesi della pandemia i tassi di mortalità risultano più elevati tra gli stranieri rispetto agli italiani, del 20% negli uomini e del 60% nelle donne. A maggio e giugno 2020 la mortalità da Covid-19 si riduce notevolmente, ma il divario tra italiani e stranieri da paesi FPM permane, con una mortalità del 50% più alta tra le donne e del 40% tra gli uomini.
Ad aprile 2022, con l’80,1% di vaccinati con ciclo primario, l’Italia si colloca al terzo posto della graduatoria europea, dopo Portogallo e Malta.
“In Italia quasi il 90% degli adulti riconosce l’utilità dei vaccini nel contenere la diffusione della pandemia e li ritiene sicuri, tre su quattro manifestano preoccupazione per la scelta di alcuni di non vaccinarsi, e durante la quarta ondata pandemica più dell’80% si è detto d’accordo con la necessità di mostrare il green pass o l’esito negativo al tampone Covid-19 per viaggiare in aereo/treno, andare al ristorante o in albergo, assistere a spettacoli”, sottolinea l’Istat.
Sulla base dei dati raccolti dall’indagine Eurobarometro, a febbraio 2022 il nostro Paese è al primo posto nel contesto internazionale sia per il giudizio favorevole a una eventuale obbligatorietà delle vaccinazioni (73% contro 56% della media europea) sia per il consenso all’adozione di misure restrittive per l’accesso a luoghi/eventi verso quanti rifiutano di vaccinarsi (82% contro 71%).

Le conseguenze demografiche del Covid. Tornano a crescere i matrimoni e unioni civili, crollo delle nascite

La pandemia ha avuto un impatto rilevante su tutte le componenti della dinamica demografica. La perdita di popolazione ascrivibile alla dinamica demografica negativa è stata pari a 658 mila residenti tra il 1° gennaio 2020 e il 31 dicembre 2021, mentre il deficit è risultato doppio rispetto a quello riscontrato nel biennio 2018-2019 (-296 mila).

Nel 2020 si è registrata una drastica contrazione dei matrimoni per effetto delle misure di contenimento della diffusione dell’epidemia. In base ai dati provvisori, nel 2021 il numero di matrimoni è raddoppiato e la crescita prosegue nel trimestre gennaio-marzo 2022, ma non è ancora sufficiente a recuperare i livelli del 2019.
In Italia anche le unioni civili (tra persone dello stesso sesso), diminuite nel 2020 del 33% rispetto al 2019, hanno recuperato l’anno seguente, anche se non completamente. Di contro, la crescita osservata nei primi tre mesi del 2022 è tale da superare sia i valori corrispondenti del 2021 (+20,6%) sia quelli relativi ai primi tre mesi del 2019 (+7,6%).
Il calo della nuzialità non ancora recuperato e la diminuzione di coppie giovani al primo matrimonio hanno ristretto il numero di potenziali genitori, con evidenti ripercussioni sulle nascite a partire dagli ultimi due mesi del 2020 (relativi ai concepimenti di marzo-aprile 2020).
Il crollo delle nascite si è protratto nei primi sette mesi del 2021 per poi rallentare verso la fine dell’anno. Secondo i dati provvisori per il primo trimestre 2022, a marzo il calo raggiunge il suo massimo (-11,9% rispetto allo stesso mese del 2021).
Spagna e Italia non hanno ancora recuperato il calo della natalità del 2020. In Francia, dopo la riduzione osservata tra il 2015 e il 2020, nel 2021 le nascite sono state 3 mila in più. In Germania, a un calo dei matrimoni nel 2021 è corrisposto un balzo nel numero dei nati, il più alto dal 1997.
Nel 2020 emigrazioni, immigrazioni, mobilità interna si sono ridotte fortemente. La dinamica migratoria complessiva ha mostrato lievi segnali di recupero nel 2021, al netto degli aggiustamenti anagrafici. I dati anticipatori di gennaio-marzo 2022 confermano la tendenza all’aumento delle iscrizioni dall’estero (+26,1%) e la contrazione delle cancellazioni per l’estero (-19%), con un saldo migratorio pari a +50mila unità, quasi il doppio rispetto al primo trimestre 2021.

L’impatto sulla vita quotidiana

“L’emergenza sanitaria ha modificato le abitudini di vita della popolazione. Già nel 2021 sono emersi segnali di un ritorno alla quotidianità pre-Covid, sebbene non tutto sia tornato come prima né sia possibile prevedere se e quando ciò accadrà”, afferma l’Istat.
Ad aprile 2020, in un giorno medio del lockdown della prima ondata, poco più di una persona su quattro è uscita per le motivazioni consentite dal decreto “iorestoacasa”. Si è dimezzata la quota di persone che in un giorno medio affermano di aver lavorato e il 44% di questi lo ha fatto da casa. Per il 26% degli occupati il tempo dedicato al lavoro è diminuito, mentre per il 13,7% è cresciuto. Un terzo dei cittadini si è potuto svegliare più tardi e un quinto ha potuto dormire di più. Più di un cittadino su quattro ha dedicato più tempo ai pasti.
Il 40% ha destinato più tempo del solito alle pulizie della casa. Per la chiusura delle scuole, il 67,2% dei genitori con figli fino a 14 anni ha dedicato più tempo alla cura dei bambini che in passato, senza differenze di genere. “In questo stesso periodo, il distanziamento fisico non si è tradotto in distanziamento sociale e i rapporti con parenti e amici sono stati coltivati a distanza. Le attività di tempo libero sono state profondamente influenzate dalle restrizioni che hanno indotto a privilegiare quelle poco condivise e svolte prevalentemente all’interno delle mura domestiche”.

Gli stravolgimenti della vita quotidiana conseguenti al lockdown di marzo e aprile 2020 si sono attenuati nei mesi successivi. Gradualmente tende a normalizzarsi la composizione delle 24 ore, con la maggioranza dei cittadini (quote variabili tra il 57 e l’85%) che impegna nelle varie attività la stessa quantità di tempo del periodo pre-pandemico. È in aumento la quota di cittadini che in un giorno medio effettuano almeno uno spostamento sul territorio: dal 28% del periodo di vigenza del decreto “iorestoacasa”, al 58,3% della seconda ondata fino al 72,9% della quarta. Tuttavia si è ancora lontani dalla percentuale relativa al periodo prepandemico (90% circa). Inoltre, ancora una persona su tre (35,9%) si trattiene meno fuori casa mentre il 65% esce più di rado (87,2% nel 2020).
“Una progressiva riduzione degli effetti dell’emergenza sanitaria si segnala anche per le attività fisiologiche, ma sono altrettanto evidenti e tuttora in corso i cambiamenti qualitativi. L’isolamento forzato e i cambiamenti nei ritmi di vita hanno avuto effetti sulla qualità del sonno, con una persona su cinque che afferma di svegliarsi più spesso durante la notte”, afferma l’Istat.
Si riduce drasticamente la quota di quanti dedicano più tempo di prima ai pasti (7,8% a fronte del 27% della prima ondata), così come è in netto calo la percentuale di chi ha cambiato le proprie abitudini alimentari, in particolare di quanti mangiano di più o consumano più cibi meno salutari. Rispetto ad aprile 2020 si dimezza anche la quota di quanti dedicano più tempo alla pulizia della casa, alla preparazione dei pasti e alla cura dei bambini (0-14 anni).
Al lavoro e allo studio la maggioranza della popolazione adulta dedica lo stesso tempo che in passato. Per il lavoro, scende all’8,6% dal 26% di aprile 2020 la quota di chi vi dedica meno tempo; contestualmente si riduce la quota di lavoratori a distanza.
L’allentamento delle restrizioni ha fatto recuperare gli incontri in presenza: durante la quarta ondata più di un cittadino su quattro ha incontrato familiari non conviventi il giorno precedente l’intervista, altrettanti si sono visti con amici.

Cambiate le relazioni sociali

L’emergenza sanitaria sembra aver prodotto cambiamenti profondi e duraturi nelle relazioni sociali. Ancora durante la quarta ondata, solo per circa un terzo della popolazione adulta nulla è cambiato nei rapporti con i familiari non conviventi o con gli amici, mentre oltre la metà dichiara di aver ridotto la frequenza degli incontri (rispettivamente 54,9% e 61,8%).
L’abitudine alla lettura di libri ha avuto un andamento positivo nei due anni di pandemia, anche se il profilo prevalente continua a essere quello di “lettore debole”: il 44,6% dei lettori ha letto fino a tre libri nel corso del 2021 mentre solo il 15,2% ne ha letti almeno 12 (“lettori forti”).
La pratica fisico-sportiva ha retto nel periodo pandemico: il 22,7% della popolazione adulta l’ha svolta prevalentemente in casa in un giorno medio di aprile 2020. Tra i più giovani (6-14 anni) è però diminuita la diffusione dello sport continuativo ed è cresciuta la sedentarietà (dal 18,3% del 2019 al 24,4% del 2021).
La fruizione virtuale ha consentito ad alcune attività di tempo libero di reggere all’impatto della pandemia: è proseguito accentuandosi il trend in crescita dell’utilizzo di dispositivi digitali e audiolibri per la lettura. Tra gli utenti regolari di Internet si è inoltre registrato un aumento nell’uso della rete per scaricare e/o leggere libri, quotidiani, riviste, giocare in rete/scaricare giochi, guardare la tv in streaming o video on demand.

La partecipazione ad eventi e spettacoli fuori casa, insieme a tutte le forme di partecipazione culturale e passatempi che non hanno potuto beneficiare di una qualche forma di virtualizzazione, ha registrato tra il 2019 e il 2021 un vero e proprio crollo. La quota di chi ha svolto almeno due attività nell’anno si è ridotta di circa quattro volte (dal 35,1% del 2019 all’8,3% del 2021) mentre si è dimezzata la quota di chi ne ha svolta una (dal 14,3 al 7,2%).

L’impatto sul mercato del lavoro: l’Italia nel contesto europeo

Sul mercato del lavoro la pandemia ha avuto un impatto rilevante sia quantitativo (-724 mila occupati rispetto all’anno precedente) sia qualitativo, per l’esacerbarsi delle diseguaglianze a sfavore di segmenti di popolazione vulnerabili già alla vigilia dell’emergenza sanitaria.
Nel 2020 la crisi ha colpito soprattutto le componenti meno tutelate del mercato del lavoro: il 55,5% della caduta occupazionale ha riguardato i lavoratori dipendenti a termine (-402 mila rispetto al 2019), e gli indipendenti (-233 mila) mentre tra gli occupati a tempo indeterminato il calo non ha superato le 90 mila unità.
Nell’Ue27 gli occupati fra i 15 e i 64 anni sono scesi di oltre 3,5 milioni nel 2020 (-1,8% rispetto al 2019). Tra i paesi europei l’Italia ha subito la caduta dell’occupazione maggiore dopo la Grecia (-5,1%) e la Bulgaria (-3,6%), in linea con Spagna e Irlanda (-3,1%) mentre in Francia la diminuzione su base annua è stata dello 0,5%.
“Anche la ripresa osservata nel 2021 in media Ue27 (+1,5%) ha visto il nostro Paese relativamente più penalizzato rispetto alle altre grandi economie dell’area - afferma l’Istat -. La fase di incertezza di inizio 2021 ha infatti frenato la risalita dell’occupazione (poi riavviatasi nei mesi successivi), determinando in media d’anno una crescita degli occupati di 15-64 anni intorno allo 0,6% rispetto al 2,8% della Spagna, all’1,6% della Francia e all’1,3% della Germania. Tali dinamiche hanno determinato un ulteriore ampliamento del divario dell’Italia rispetto alla media Ue27 per i principali indicatori del mercato del lavoro”. Il tasso di occupazione dei 15-64enni, già inferiore di 9,1 punti percentuali nel 2019 nonostante i progressi registrati dal 2014, si è attestato al 58,2%, circa 10,2 punti percentuali in meno della media europea.
Il costo pagato dalle donne è stato più elevato in Italia che nel resto d’Europa. Le occupate sono diminuite di circa 376 mila unità nel 2020 (-3,8% rispetto al 2019), a fronte di un impatto di genere mediamente più omogeneo nelle principali economie dell’Ue27. Nel 2021, nonostante una ripresa più favorevole per le donne, il tasso di occupazione femminile non ha ancora recuperato, in media d’anno, i livelli del 2019, rimanendo sotto la soglia del 50% (49,4%).
L’altro segmento particolarmente colpito dalla pandemia è stato quello dei giovani: nella media Ue27 si è registrato un calo di occupati sotto i 25 anni quasi tre volte superiore rispetto ai 25-54enni (-6,1% contro -2,3%), con Italia e Spagna che si distinguono per le perdite più marcate (-9,6% e -14,9%).
Nel 2021, la ripresa dell’occupazione giovanile ha riguardato anche l’Italia, pur con un’intensità inferiore (+5,5%) rispetto a Francia (+12,5%) e Spagna (+12,6%). Il tasso di occupazione dei 15-24enni – già il più basso fra le principali economie dell’Ue27 – è cresciuto in Italia di solo 0,9 punti percentuali (+3,3 punti in Francia), rimanendo ancora circa un punto sotto il valore del 2019.

Anche nel biennio 2020-21 si conferma il ruolo protettivo svolto da un più alto livello di istruzione. In Italia, nel 2020, il tasso di occupazione dei laureati (81,7%) si è ridotto meno della metà (-0,7 punti) rispetto a chi ha un diploma secondario superiore (-1,8 p.p.) o la licenza media (-1,5 p.p.). Ancora più netti appaiono i vantaggi nel 2021: in media d’anno la quota di occupati laureati 15-64enni è cresciuta di 1,4 punti percentuali sul 2020 (da 81,7% a 83,1%), a fronte di un incremento di un solo decimo di punto (da 73,0 a 73,1%) per i diplomati.
I benefici occupazionali di un titolo di studio più elevato sono particolarmente evidenti tra le donne, per le quali nel 2021 essere in possesso di una laurea si associa a un tasso di occupazione al 76,4%, 22 punti percentuali più alto di quello delle diplomate. Fra gli uomini il vantaggio corrispondente è di circa 10 punti (83,1% contro 73,1%).
I vantaggi occupazionali dell’accumulazione del capitale umano trovano conferma anche per i segmenti di popolazione più giovane. Nel 2021, in Italia, il tasso di occupazione dei 30-34enni con titolo di studio terziario è all’81,1%, rispetto al 68,4% dei diplomati e al 53,5% di chi non è andato oltre la licenza media. Anche in questo caso il premio più elevato riguarda le giovani laureate che risultano occupate nel 78,3% dei casi, contro il 53,7% delle coetanee con diploma secondario superiore.
Nell’Ue27 l’Italia mantiene un divario importante anche con riferimento alla possibilità di lavorare da remoto. La quota di occupati di 15-64 anni che affermano di aver svolto il proprio lavoro occasionalmente o abitualmente da casa è cresciuta dal 4,7% del 2019 al 13,6% del 2020. Ciononostante l’Italia resta sotto la media europea (20,6%).
Nel 2020 in Italia la quota di occupati che hanno lavorato da casa solo occasionalmente è rimasta molto bassa (da 1,1% a 1,4%). Questa componente è invece molto rilevante nella media dell’Ue27 (8,6%). Nel 2021, tuttavia, nel nostro Paese la ripresa delle attività economiche si è associata a un ridimensionamento del lavoro agile abituale e all’incremento di quello di natura meno frequente. Lavorare da casa ha comunque comportato alcune difficoltà, riportate da più di un lavoratore su due (54,2%). In particolare, più di un lavoratore su quattro ha lamentato problemi di connessione a Internet e difficoltà di concentrazione, il 23,2% carenze di dotazione tecnologica, il 21,3% scarsità di spazi adeguati in casa e il 23,4% problemi di sovrapposizione tra lavoro e attività personali/familiari.
Lavorare due o tre giorni a settimana da casa rappresenta il modello ibrido ideale per gli interessati a questa forma di flessibilità lavorativa, sia per chi ne ha già avuto esperienza sia per chi desidererebbe farla (69,5%); il 16,6% preferirebbe un utilizzo più sporadico mentre il 13,8% manifesta interesse per un modello più spinto (tutti i giorni o quasi).

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)