L’editoriale di don Giorgio Bezze. Il tempo di scegliere ciò che conta
«Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti, presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa... Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è... Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale».
Ho voluto riprendere, ancora una volta, alcuni passaggi della riflessione di papa Francesco durante il momento straordinario di preghiera del 27 marzo, perché mi sembra importante, soprattutto per un catechista, ricordare che questo tempo, seppur faticoso e doloroso, deve essere vissuto in pieno. Intendo dire che non possiamo lasciarci sopraffare dagli eventi, ma dobbiamo avere la capacità di riflettere su ciò che sta accadendo e di porci alcune domande essenziali. Per esempio: quando finiranno le restrizioni? Quando si tornerà alla vita di prima? E soprattutto: che cosa ci sta dicendo il Signore attraverso questa pandemia? Verso dove dobbiamo andare? Tutto quello che faccio e facciamo ha un senso? E come credenti: quale Chiesa dobbiamo costruire o meglio essere? Quali cose lasciare e quali tenere? E andando ancora più nello specifico: quale catechesi portare avanti? Che cosa è essenziale e cosa non lo è? Personalmente, mi chiedo anche: quale tipo di relazione dobbiamo costruire con i ragazzi e i genitori?
L’epidemia ci costringe ad andare al cuore della nostra fede, del nostro essere catechisti. Ci aiuta a capire che quello che conta, prima di tutto, non sono le tante attività che facciamo, ma è il legame di profonda umanità che costruiamo con le persone. Un legame dunque spirituale, fatto di ascolto, di testimonianza, senza il quale anche le attività non hanno senso e rischiano di essere contenitori vuoti che non incidono nella vita dei ragazzi e tantomeno in quella degli adulti. Sorprendentemente questo tempo ci fa scoprire anche un modo diverso di celebrare: non più nell’ampiezza delle nostre chiese ma ciascuno nella propria casa. Anche la celebrazione della Pasqua, senza perdere la sua solennità e forse per la prima volta nella storia dei tempi, avverrà in questo modo.
La tragicità di questo momento ci aiuta a capire che i riti devono essere sempre interpretati all’interno del nostro vivere, prima che nelle chiese, altrimenti perdono il loro senso, restano muti, come un teatro di personaggi in cerca di autore. Celebrando tra le mura domestiche abbiamo, invece, la possibilità di scoprirne tutta la forza portatrice di fede e speranza.
Buona Pasqua nel Signore Risorto!