L’Amazzonia brucia. Il polmone verde del pianeta sta soffocando
Nella selva peruviana quest’anno sono morte 15 persone e 3.500 ettari sono andati in fiamme. Le comunità indigene chiedono l’abrogazione di una legge anti-foresta
Nell’era del cambiamento climatico persino l’Amazzonia brucia. Gli incendi forestali nel cosiddetto “polmone del mondo” non sono una novità, eppure quest’anno nella selva peruviana e sulle Ande le fiamme hanno già provocato la morte di 15 persone e la perdita di oltre 3.500 ettari di terreno, secondo l’Istituto nazionale di Difesa civile. I dati parlano di un aggravamento della situazione: come sottolinea Global Forest Watch, piattaforma di monitoraggio digitale, da gennaio a settembre di quest’anno sono state segnalate in Perú 3.411 allerte incendio, che rappresentano il 32 per cento in più rispetto all’anno scorso. Gli incendi sono principalmente di origine antropica e, inoltre, gli esperti convengono che gli effetti del cambiamento climatico come la siccità, che quest’anno è particolarmente severa, e la deforestazione siano i fattori decisivi nel favorire la propagazione delle fiamme. Così delle enormi nubi di fumo cariche di anidride carbonica si estendono su quella che dovrebbe essere una delle maggiori fonti di ossigeno del pianeta. Il grigiore derivante dalla combustione si insinua nelle strade di città amazzoniche come Pucallpa, dove i visitatori di passaggio, una volta rientrati a Lima, raccontano di aver sofferto di mal di testa e bruciore agli occhi. Non a caso Pucallpa è il capoluogo della regione amazzonica di Ucayali, dove insieme alle regioni di Amazonas e San Martín è stato dichiarato lo stato d’emergenza da parte del governo peruviano.
Una dichiarazione, quella dello stato d’emergenza, insieme alla disposizione delle misure di contenimento degli incendi da parte dello Stato, che è avvenuta grazie alle pressioni della società civile. Attraverso mobilitazioni di piazza nel centro di Lima e in altre città del Paese le organizzazioni hanno ottenuto questo passo da parte del governo. La società civile peruviana e le organizzazioni indigene però non si dicono soddisfatte, visto che lo stato d’emergenza è stato dichiarato solo in tre regioni mentre in altre diciannove i roghi continuano a distruggere la foresta e le coltivazioni di fronte all’impotenza dettata dalla carenza di mezzi delle istituzioni regionali. Secondo le autorità locali, il tema degli incendi in Amazzonia e nelle Ande si spiegherebbe alla luce di responsabilità specifiche, che Dina Boluarte, presidentessa del Perù dal dicembre 2022, identifica nei «metodi ancestrali» impiegati dai popoli indigeni in agricoltura, come la pratica della quema che prevede di rendere il raccolto più ricco bruciando il terreno e inducendo così un effetto fertilizzante. A questa narrazione però si oppongono i popoli indigeni stessi, i quali affermano che gli incendi siano appiccati da individui terzi, estranei alle comunità e che mirano ad ampliare irregolarmente, cioè deforestando, i loro terreni agricoli.
I cambiamenti dell’ecosistema amazzonico dovuti al riscaldamento globale e alle attività industriali, come la carenza d’acqua a causa della siccità e la mancanza di flora a causa della deforestazione, rappresenterebbero però il reale problema. In questo senso l’organizzazione nazionale Aidesep (Associazione interetnica per lo sviluppo della foresta pluviale peruviana), che è la più rappresentativa delle comunità indigene amazzoniche in Perú, esige dal Governo l’abrogazione della legge 31.973, conosciuta come “legge antiforestale”, approvata dal Congresso nel gennaio 2024. Si tratta di una norma che favorisce la lottizzazione della foresta amazzonica, trasferendo la prerogativa di concedere permessi di coltivazione nella selva dal ministero dell’Ambiente al ministero dell’Agricoltura, piegandosi agli interessi delle agroindustrie da esportazione. Inoltre, la “legge antiforestale” sospende l’obbligo che l’area coltivata sia inserita nella zonizzazione forestale per poter ottenere un titolo abilitante per l’agricoltura. In questo contesto, come evidenziato da Christian Huamán Mendoza, direttore di gestione del Servizi nazionale di Aree protette dello Stato peruviano (Sernanp) in una intervista a Canal N, questa norma aggrava i rischi di incendi forestali, incentivando la deforestazione tramite la quema irregolare, perché fornisce un’impressione di impunità a chi la pratica. È in questo nuovo quadro normativo, dunque, che gli incendi forestali in Perú sono schizzati alle stelle, lasciando dietro di sé enormi danni che affliggono in primis gli abitanti dell’Amazzonia, ma che influiscono anche sul destino dell’intero pianeta.
La deforestazione per gli interessi di grandi imprese
L’Amazzonia peruviana è enorme, circa 68 milioni di ettari e ospita le sorgenti del Rio delle Amazzoni e il Parco nazionale del Manú. Oltre agli incendi, la deforestazione è l’altro grande male, causato da grandi imprese, come le compagnie di olio di palma; reti criminali che traggono profitto dal commercio di legname o che tagliano alberi per piantare colture di coca.