Il limite in calendario. A cosa servono le Giornate dedicate alle fragilità umane?
Giovedì 21 settembre scorso si è celebrata la trentesima Giornata mondiale dell’Alzheimer
A cosa servono le Giornate nazionali o mondiali dedicate alle fragilità, alle malattie? Come si può seguire, senza smarrirsi, un calendario che inanella infinite vulnerabilità? Non c’è il rischio di metterlo da parte perché troppi sono i giorni dei dimenticati, degli abbandonati, dei rifiutati mentre a fatica si riesce a far fronte ai problemi quotidiani?
Giovedì 21 settembre scorso si è celebrata la trentesima Giornata mondiale dell’Alzheimer, molte domande sono tornate e con loro gli appelli a non rimuovere sofferenze e solitudini, a chiedere più impegno alle istituzioni per l’attività di prevenzione, di cura e di ricerca scientifica.
Negli Stati Uniti si stanno ottenendo farmaci più efficaci nel rallentare il decorso dell’Alzheimer mentre in Italia il progetto Interceptor per 5 anni ha monitorato 350 soggetti a rischio ritenendo fondamentale intervenire con le cure nelle fasi iniziali.
Segnali positivi ma la realtà dice che in Italia sono 350.000 i malati di Alzheimer e un milione e mezzo quelle affette da varie forme di demenza. Nei prossimi giorni a Firenze si terrà un convegno di studio sul Parkinson che oggi nel nostro Paese colpisce 300.000 persone.
Con le persone sono le famiglie che vedono i propri vecchi trasformarsi in bambini incapaci di prendersi cura di sé ma ancora capaci di pensare, di tessere relazioni, di aprire gli occhi, di sorridere.
“A mio padre piace che durante le passeggiate lo si tenga per mano come quei bambini che nel parco giochi camminano titubanti su una trave sottile, confortati dal peso, nella loro mano, di una mano amante. Ho bisogno di qualche minuto per mettermi al suo passo e raggiungerlo in quella lentezza propria dell’inizio e della fine della vita”: così Christian Bobin nel libro “Presenze”.
Lo scrittore francese descrivendo la vita in una casa di cura incontra le persone che vi lavorano e commenta: “Nessuno aveva insegnato loro che curare significa anche osservare, parlare, riconoscere con lo sguardo e con la parola l’intatta sovranità di coloro che hanno perduto tutto.”
Una preoccupazione che non si ferma all’interno di una struttura e si spinge sul terreno della cultura della cura della società e della politica.
Molte domande ruotano attorno a una Giornata dedicata alle persone fragili. Una, del tutto particolare, viene da Bobin: “’Ho sognato che Dio aveva il morbo di Alzheimer, che non si ricordava più il nome né il volto dei suoi figli, che aveva scordato perfino la loro esistenza.”
Un sogno sbagliato, una affermazione provocatoria oppure il desiderio di dare senso a un “farsi prossimo” che si carica del limite ma non intende rimanerne schiacciato?
È una domanda che viene, con molte altre, dalla trentesima Giornata mondiale dell’Alzheimer come viene da altre Giornate e da altre situazioni dove è graffiante l’esperienza del limite. Non c’è una risposta immediata e definitiva: si presenta a credenti e non credenti un’occasione di pensiero, si apre una ricerca di senso.