Il ginepraio dell’Election Day. I conflitti su voto amministrativo e referendum, specchio dei nodi istituzionali irrisolti
Mentre sulla giornata per ricodare le vittime del Covid-19 le forze politiche hanno trovato un accordo (18 marzo), la situazione resta più complessa per la tornata elettorale. Sulla data delle elezioni regionali e amministrative e del referendum confermativo sul taglio dei parlamentari, non si è ancora raggiunta un'intesa e le contrapposizioni sono forti, tanto che il voto sul relativo decreto-legge – necessario dopo il rinvio della tornata primaverile per l'emergenza sanitaria – è slittato alla prossima settimana
Almeno sulla giornata per ricordare le vittime del Covid le forze politiche sono riuscite a ritrovare quello spirito unitario che sarebbe servito e servirebbe ora per affrontare le conseguenze della pandemia. E che rischia di mancare anche intorno alla ormai imminente festa della Repubblica, dato che dal centro-destra arrivano conferme sulle iniziative di piazza previste per il 2 giugno (simboliche, per una eventuale manifestazione di massa si parla di luglio). Intanto, però,
la commissione affari sociali della Camera ha adottato con voto unanime la data del 18 marzo per l’omaggio nazionale ai morti da coronavirus
e il pensiero corre immediatamente alla notte in cui a Bergamo i camion militari portarono fuori città le salme delle vittime. Immagini che resteranno nella mente e nel cuore di tutti gli italiani. Ora l’iter della legge dovrà essere completato ma con questi presupposti è scontato un esito rapido e positivo.Su un’altra data invece, quella delle elezioni regionali e amministrative e del referendum confermativo sul taglio dei parlamentari, non si è ancora raggiunta un’intesae le contrapposizioni sono forti, tanto che il voto sul relativo decreto-legge – necessario dopo il rinvio della tornata primaverile per l’emergenza sanitaria – è slittato alla prossima settimana. Si tratta di una tornata molto importante perché chiama alle urne tutto il corpo elettorale per quanto riguarda il referendum, mentre sono 18 milioni gli italiani interessati dal voto regionale (in Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania, Puglia e Valle d’Aosta) e 6 milioni quelli coinvolti dalle amministrative in circa mille Comuni.Sulla questione si sono creati schieramenti che non corrispondono meccanicamente a quelli di maggioranza e opposizione sul piano parlamentare.
Il Governo aveva inizialmente indicato la data del 13-14 settembre (due giorni per diluire l’afflusso ai seggi). Allo stato, il compromesso più probabile appare sul fine settimana successivo, con gli eventuali ballottaggi a inizio ottobre. Gli esperti del comitato tecnico-scientifico dicono che sarebbe rischioso andare oltre per il timore di una nuova ondata di contagi.
Ma i presidenti delle Regioni, soprattutto quelli che puntano alla rielezione, avrebbero voluto votare addirittura a fine luglio.
In alternativa, ora annunciano che apriranno i seggi nella prima domenica utile di settembre (i consigli regionali in carica sono stati prorogati fino a tutto agosto). Su questa posizione si ritrovano sia “governatori” di centro-destra (Zaia e Toti) che di centro-sinistra (De Luca ed Emiliano). E’ del tutto evidente l’interesse ad anticipare il più possibile il voto per sfruttare la popolarità acquisita nella fase dell’emergenza, ma l’argomento di evitare di stoppare le lezioni nelle scuole che saranno state appena riaperte ha una sua obiettiva consistenza. Ma è almeno altrettanto forte la motivazione di non interferire con una già precaria stagione turistica che spingerebbe a posticipare il voto ai limiti del periodo indicato dagli esperti.
Le urne a fine settembre, ipotizzando di trovare il Governo in difficoltà sul piano economico, piacerebbero a Fratelli d’Italia e a Forza Italia e tutto sommato anche alla Lega, piuttosto defilata per non contraddire apertamente Zaia i cui interessi politici, però, non coincidono con quelli di Salvini che, dal canto suo, spera con il tempo di risalire nei sondaggi. A ben vedere anche Pd e M5S, alla faticosa ricerca di accordi a livello regionale, non hanno fretta.
A tutto questo si aggiunge la richiesta del comitato promotore del referendum di non accorpare la consultazione con il voto regionale e amministrativo
e qui l’ipotesi di compromesso che si profila (sempre per non moltiplicare le spese) è di abbinarla ai ballottaggi dei Comuni e della Toscana, in cui si vota con il doppio turno. Sì, perché le Regioni hanno competenza autonoma nelle materie elettorali che le riguardano, così che se decidessero comunque di andare al voto il 6 settembre sarebbe praticamente impossibile obbligarle a convergere in una data comune con referendum e comunali. Un ginepraio che è lo specchio anche dei nodi istituzionali irrisolti – innanzitutto il ruolo delle Regioni – emersi in modo macroscopico durante l’emergenza.La notizia migliore della settimana politica, comunque, è quella arrivata dall’Europa.Il piano della Commissione Ue, pur richiedendo ancora passaggi molto delicati, rappresenta una svolta storica che deve essere adeguatamente valutata in tutta la sua portata. Il fatto che i sussidi siano vincolati a progetti precisi e realizzati non è un limite, anzi, è uno stimolo decisivo per un Paese come il nostro che da decenni non riesce a spendere come si deve i fondi europei già esistenti. Il presidente del Consiglio, con una lettera pubblicata da diversi quotidiani, ha cominciato a indicare sette priorità per una stagione di investimenti che potrebbe essere irripetibile. Obiettivi strategici all’insegna della modernizzazione e della sostenibilità, con focus sulla formazione, la sburocratizzazione e la riforma fiscale.Sarebbe un segnale importantissimo, per gli italiani e per l’Europa, se nel Paese il confronto politico prendesse la forma di un grande confronto sugli investimenti e sulle riforme, con una visione di largo respiro ma realistica e senza demagogie.
I “sovranisti”, non solo in casa nostra, sono rimasti spiazzati dalla mossa dell’Europa, ma potrebbero dare il loro contributo invece di coltivare progetti autolesionisti, come la proposta della Lega – calendarizzata in commissione alla Camera – di abolire il principio del pareggio di bilancio introdotto con la legge costituzionale del 2012. Il modo migliore per dare frecce all’arco degli Stati che più ci sono ostili in Europa.
La settimana politica si era aperta con un voto che ha fatto molto discutere: la giunta per le immunità del Senato si è espressa contro l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini per la vicenda della nave Open Arms.
Oltre ai membri dei partiti di centro-destra, hanno votato in questo senso anche una senatrice del M5S e un ex del medesimo Movimento, mentre i tre membri di Italia Viva non hanno partecipato. Sul piano sostanziale la decisione effettiva è rinviata all’assemblea di Palazzo Madama, che dovrà pronunciarsi il mese prossimo. Ma gli inediti posizionamenti che si sono verificati nella giunta hanno provocato polemiche e interpretazioni relative alla tenuta della maggioranza. Proprio alla vigilia del voto era arrivata la notizia dello slittamento al 3 ottobre, causa pandemia, dell’udienza preliminare per il caso della nave Gregoretti, per il quale il Parlamento aveva dato a suo tempo l’autorizzazione a procedere verso l’ex-ministro dell’Interno.