Il futuro dell'informazione? Cambiare, o scomparire
Il futuro dell'informazione? Per non essere cancellata, deve ripensare le sue strategie. Ma la regolazione del web è una questione cruciale per la democrazia.
Il futuro dell’informazione? Fra la strategia del New York Times e il presente di Limes, secondo Paolo Pagliaro: «La verità è difficile da trovare. Ma è più facile cercarla con mille giornalisti. Ce lo ricorda ilquotidiano americano. La rivista di Lucio Caracciolo, invece, vende dossier di analisi geo-politica che non troveremo mai su carta».
Pagliaro è tornato a Padova dopo 32 anni, su invito del “pensatoio” di Coalizione Civica in Corso del Popolo. All’epoca di Fabio Barbieri alla guida del giornale, Pagliaro era caporedattore del Mattino di Padova, prima di passare a Repubblica. Ha poi diretto l’Adige e altri quotidiani locali, fondato l’agenzia 9Colonne e dal 2008 è coautore con Lilli Gruber di Otto e mezzo. Di recente ha pubblicato Punto. Fermiamo il declino dell'informazione (Il Mulino, pagine 123, euro 12).
Pagliaro non esita a demolire gli stereotipi della Rete: «Luogo di assoluta libertà? Al contrario, un mercato in mano a poche aziende tecnologiche come Google, Facebook, Apple, Amazon, Microsoft. I nostri dati personali sono la loro materia prima e il web è il luogo in cui far quattrini. In borsa valgono 3.500 miliardi di dollari, cioè più della Francia. La rete come nuova opinione pubblica? Le bacheche dei social sono infarcite di graffiti simili a quelli dei bagni pubblici della mia gioventù. Ma soprattutto c’è una questione cruciale, tanto più che dal 25 maggioèentratoin vigore il nuovo regolamento europeo: la totale irresponsabilità di ciò che gira ininternet. Il nostro codice penale contempla reati che ci portano in tribunale, ma che nel web non valgono. Il Congresso Usa ha cominciato proprio da qui con Mr. Facebook, ricordandogli la responsabilità di quel che pubblica. Una battaglia di democrazia anche per il nuovo governo consisterànell’imporre ai gestori della rete il dovere di controllo e la rimozione dei contenuti tossici».
Un altro paradosso sintetizzato da Umberto Eco («Esiste una censura per eccesso di rumore») ispira la disincantata analisi di Pagliaro: «Ci formiamo un’opinione e scegliamo, non solo in politica, in base alle informazioni. Ricordo sempre com’è stata giustificata, anche moralmente, la prima guerra del Golfo: il falso arsenale di Saddam Hussein con le armi di distruzione di massa denunciato daStati UnitieGran Bretagna. Oggi una somma di bugie accompagna il dibattito sull’immigrazione, secondo cui l’Italia vive un’emergenza eccezionale in un’Europa che ci ha lasciati soli. I dati veri smentiscono: 18 paesi dell’Ue, a cominciare dall’Ungheria, hanno più rifugiati in rapporto ai residenti. Come del resto basta una semplice verifica a demolire la fiaba sull’Europa che misura vongole: nelle 184 votazioni del Consiglio Europeo siamo il solo paese che non ha mai votato contro…».
Il veleno deborda da ogni smartphone fino a contaminare televisione e giornali. «Sarà impopolare, tuttavia l’idea che nella Rete regnino la spontaneità e la libertà senza vincoli e regole stride con le false identità digitali, l’estrogenare il numero di visite ai siti, il proliferare esponenziale di fake news», afferma Pagliaro.
Tutto comincia il 17 dicembre 2006: «Il settimanale Time mette in copertina un computer con lo specchio al posto dello schermo. E dichiara “You” uomo dell’anno. Messaggio che si traduce in “tu puoi fare a meno dell’informazione editoriale, perché puoi essere tu il cronista e il regista. Grazie allo smartphone, tu sei già il creatore e il pubblico”. In realtà, lo specchio è andato in frantumi. Certo, ogni pezzo riflette ancora. Tuttavia è stata polverizzata l’informazione. È il disastro, perché tutti gli utenti della rete avrebbero dovuto democratizzare il giornalismo, sostituendosi ai migliori professionisti. In realtà, inizia il declino della verità. Promuovendo Narciso a uomo del 2006, Time ha inaugurato l’era della post-verità».
Strategie alternative per il giornalismo? «Negli Usa l’82 per centodegli studenti non è in grado di distinguere una notizia da un contenuto sponsorizzato. E quando gli ho chiesto se l’informazione diventerà un mercato di nicchia come l’abbigliamento e il cibo, Carlo De Benedetti ha risposto affermativamente. Poi, nel gioco delle parti, anche gli editori sono più vittime che carnefici: il saccheggio dei contenuti non è di fatto sanzionato. Ai nostri tempi per leggere un giornale occorreva andare in edicola e acquistarlo, oggi non è più così. Ma la decisione diJeff Bezos, proprietario di Amazon, di acquistare il Washington Post è interessante perché dimostra che il giornalismo professionale può essere declinato in forme (e piattaforme) nuove, può conquistare il web invece di esserne travolto. Aumentare i contenuti pensati per attirare interesse sui social, investire sulla velocità e la grafica della versione mobile, differenziare i canali di distribuzione, rafforzare i team che si occupano di “breaking news” e inchieste: questo ha fatto Bezos. Come in sostanza anche il gruppo Springer in Germania. Il giornalismo può tornare a essere un buon affare…».