Il fu modello veneto. Storia di un modello finito e di una locomotiva senza più carbone
La pandemia Covid-19 conferma che le prestazioni della ex locomotiva italiana, il ricco Veneto, presenta oggi parametri del tutto assimilabili al resto del Paese. Nel desolante paesaggio dei settori in crisi, non mancano tuttavia deboli segnali di ripresa. Bankitalia: «La crisi sanitaria ha determinato un drastico calo dei ricavi che si è riflesso sulla redditività delle imprese»
Concepito negli anni Settanta, il “modello veneto” è morto. Sepolto anche dal Covid.
«Non c’è più. Né in economia, né nei servizi sanitari. Non è un’opinione, ma è un fatto che i numeri dell’economia e della pandemia venete sono in linea con quelli dell’Italia, che non è certo un modello per nessuno. I più giovani e studiati se ne vanno, via, dal Veneto. E molti vecchi mollano e vendono a fondi foresti», ha conclamato Gigi Copiello dalle colonne del Corriere Veneto.
Per altro, scenario annunciato fin dall’autunno 2019. Così Vladi Finotto, professore a Ca’ Foscari, insieme a Giulio Buciuni del Trinity College di Dublino e Giorgio Soffiato esperto di marketing: «Come pensavamo che gli MMS avrebbero dominato e poi è arrivato WhatsApp, così erano i cinesi a preoccuparci. E non abbiamo capito che sarebbero stati i tedeschi con la loro efficacia, i francesi con la loro capacità federante, gli americani con il loro bulk marketing a venirci a rubare in casa. O meglio, a introdurre nuovi modelli competitivi...».
La “radiografia” di BankItalia
L’aggiornamento congiunturale stilato dalla Banca d'Italia (numero 27, novembre 2020) non lascia dubbi.
L’industria manifatturiera? Meno 10,8 per cento di produzione a gennaio-settembre dell’anno scorso, nelle aziende con almeno dieci dipendenti. Il settore edile (e, quindi, il mercato immobiliare...) denuncia meno 9,3 per cento di fatturato e meno 6,9 per cento di ordini, confrontando il primo semestre con l’analogo periodo del 2019.
L’export? In Veneto ha subìto un tonfo del 14,6 per cento a cavallo dell’esplosione della pandemia. Regno Unito, Spagna e Francia con Cina e Giappone i mercati che hanno chiuso le porte.
Sintomatico il dato sui mutui per la casa. «Rappresentano circa due terzi dei debiti complessivi delle famiglie. La crescita dei prestiti per l’acquisto di abitazioni ha rallentato nel primo semestre (3,1 per cento da fine 2019» si legge nelle 38 pagine del documento di BankItalia.
Le famiglie venete, del resto, dipendono sempre di più dai sostegni economici: «Nei primi nove mesi dell’anno i nuclei che hanno percepito almeno una mensilità del Reddito o della Pensione di cittadinanza hanno superato le 40.400 unità, il 20 per cento in più rispetto a quanto osservato nel 2019. Tra maggio e luglio, altri 9.900 nuclei hanno beneficiato del Reddito di emergenza, introdotto a seguito dell’emergenza sanitaria».
E sul fronte delle imprese, BankItalia sottolinea: «La crisi sanitaria ha determinato un drastico calo dei ricavi che si è riflesso sulla redditività delle imprese. In base al sondaggio autunnale, circa il 57 per cento delle imprese dell’industria e dei servizi valuta di chiudere l’esercizio 2020 in utile o in pareggio, una quota decisamente inferiore rispetto a quella rilevata alla chiusura dell’esercizio 2019 (83 per cento) e più bassa anche di quella rilevata durante la crisi del debito sovrano».
Tuttavia, fra la prima e la seconda ondata di Covid nella provincia di Padova le banche avevano 26,4 milioni di euro di depositi più altri 11,4 milioni di titoli in custodia.
Gli interventi della Regione
Il piano d’azione si chiama “OraVeneto” e vale 260 milioni: 55 in garanzie (riassicurazioni, Confidi e garanzie di portafoglio), 90 di fondi rotazione (micro-credito a costo zero e fondo risk sharing), 111 di contributi di cui oltre 20 “a fondo perduto” (per la quale sono state già finanziate oltre 8 mila imprese).
Un volume di gettito che potenzialmente attiva 1,4 miliardi a beneficio di circa 13 mila imprese venete. E brilla il bando sulla ricerca innovativa con una dozzina di progetti che coinvolgono anche i quattro Atenei del Veneto. A febbraio, invece, è anticipato il bando per l’imprenditoria femminile: 1,5 milioni di euro in contributi a fondo perduto. E sabato 20 febbraio si apre quello da 18 milioni destinato alle filiere più colpite dalla seconda ondata Covid (congressi, matrimoni, cerimonie, trasporti, attività culturali e spettacolo).
«La Regione, come sempre, sta facendo e farà la sua parte per sostenere gli imprenditori. Tuttavia, sono profondamente convinto che le pacche sulle spalle o le briciole di ristori inconsistenti sono ben poco utili a risollevare le nostre imprese», afferma Roberto Marcato, assessore allo sviluppo economico ed energia. «È necessaria una presa di coscienza generale e un piano di rilancio che consenta di lavorare, convivendo con il Covid-19. Ribadisco ciò che ho dichiarato in maniera insistente: la chiusura totale o parziale è la via più facile, ma è di fatto una resa del governo centrale. Dobbiamo reagire tutti e lo dobbiamo fare per tutti i lavoratori e gli imprenditori che fanno grande la nostra terra veneta».
Le Terme nel deserto
Hotel chiusi e messi in vendita, ospiti stranieri evaporati, cinque Comuni (Abano, Montegrotto, Galzignano, Battaglia, Teolo) deserti. Il più grande bacino termale d’Europa contava 107 alberghi, 18 mila posti letto, 5 mila addetti e un giro d’affari da 400 milioni l’anno. Con la pandemia, in poche settimane i fanghi sono rimasti nelle vasche, le piscine vuote e i libri delle prenotazioni bianchi. Un buco che Federalberghi stimava in 40 milioni di euro per gli hotel e 30 milioni per la ristorazione. Nel 2020 alle Terme sono spariti 8 stranieri su 10, mentre anche la clientela italiana è rimasta prigioniera dei Dpcm...
Così si profila un “imbuto” spietato con 15 alberghi che cercano già nuovi padroni, mentre c’è chi teme le infiltrazioni mafiose o il riciclaggio del denaro nelle operazioni societarie.
Non resta che affinare la fantasia, come Riccardo Zanon che propugna la “Welfare Terapia” nel suo libro: «Prevedere delle cure termali come benefit aziendale ha notevoli vantaggi per il benessere psico-fisico dei collaboratori e per eventuali recuperi da infortuni. Da non sottovalutare, la questione delle “ferie forzate” che alle terme produrrebbero benessere».
E la ripresa del mobile
È il distretto a cavallo fra le province di Verona, Padova e Rovigo. Mobilifici e filiera artigianale fatturano oltre un miliardo di euro all’anno. Numeri importanti quanto la manifattura: 6.700 addetti, oltre 1.200 partite Iva, export in una cinquantina di Paesi.
Il Consorzio Lignum la primavera scorsa aveva scritto direttamente a Luca Zaia: «Questa filiera con i suoi rapporti internazionali è stata ed è alla base della riconoscibilità di alcuni territori, altrimenti profondamente marginali e con poche risorse. Non solo quindi eccellenza artigianale e artistica ma anche forte identità sociale e culturale. Lignum è nato per dire che c’è una nuova generazione pronta a far tesoro di errori passati e a credere nel territorio! Il territorio resiste e nel 2019 ha provato a rialzare la testa segnando un più 0,1 per cento nell’area che da Casale di Scodosia si spinge fino a Verona, perdendosi in piccoli comuni dove la filiera del mobile diventa l'unico veicolo di apertura sul mondo».
Il presidente Paolo Piubelli conferma i segnali di tenuta del distretto del mobile. Anzi, segnali di ripresa oltre il Covid arrivano dal bonus mobile che permette una detrazione fiscale con il tetto alzato a 16 mila euro.
L'impatto del Covid sull'economia veneta
Nel 2020 il Pil del Veneto è calato del 9,3 per cento, due decimi di punti più della media italiana che si è fermata ad un meno 9,1 per cento. Lo certifica il Bollettino socio-economico pubblicato dalla stessa Regione Veneto nei primi giorni di febbraio. La spesa per consumi finali delle famiglie sono invece pari a meno 11,1 per cento, mentre gli investimenti fissi lordi in Veneto calano del 9,1 per cento contr il 7,9 per cento nazionale.
Il sistema moda in ginocchio
Una vetrina spenta. Il “sistema moda” ha bruciato 1.350 posti di lavoro dipendente durante il 2020 (secondo l’Osservatorio di Veneto Lavoro).
In Veneto, una realtà capace di reggere il confronto con l’industria: 9.500 unità produttive, cioè il 17 per cento del manifatturiero, più altre 7.600 di distribuzione.
In ginocchio soprattutto il calzaturiero. Durante il lockdown è affiorata una crisi senza precedenti, come testimonia Siro Badon (presidente di Assocalzaturifici): «Le imprese avevano accusato nel primo trimestre una flessione media del fatturato pari al 38,4 per cento con una perdita complessiva stimata in 1,7 miliardi di euro. Inoltre la cassa integrazione nel bimestre aprile-maggio ha segnato un aumento pari al 2.437 per cento. Ovvero 31,5 milioni di ore autorizzate contro 1,2 milioni dello stesso periodo nel 2019. In soli due mesi, dunque, quasi il quadruplo delle ore concesse nell’intero anno precedente al Covid».
L'analisi di Devi Sacchetto. La locomotiva senza carbone
Alle spalle, una sorta di mito logoratosi fino a evaporare. Il modello di sviluppo? «È stato il forte investimento sulla costruzione di un immaginario che rimandava al tentativo di stabilire nuove gerarchie e rapporti. Nel singolo posto di lavoro. O con i poteri forti, dalle banche alla politica».
Devi Sacchetto, professore associato di Sociologia dei processi economici e del lavoro, non nutre dubbi sul binario morto dell’ex locomotiva del Nord Est: «La spinta propulsiva del modello veneto è venuta meno. Sul piano economico è piuttosto evidente come le piccole imprese reggono quando riescono a internazionalizzarsi, magari “esportando” stabilimenti in Romania, oppure se sono particolarmente innovative. In larga maggioranza, tuttavia, occupano segmenti poveri e reggono sulle solite marginalità; bassi salari, scarsa attenzione alle regole ambientali, contabilità in nero. Le penetrazioni delle organizzazioni criminali negli ultimi vent’anni evidenziano proprio questo fenomeno».
Sacchetto evidenzia un altro aspetto del “modello” in tilt. «Una parte dei piccoli imprenditori veneti è rimasta senza eredi. Con un bel gruzzolo, e a volte con qualche debito, ha chiuso. Le nuove generazioni non paiono appassionate al workaholism manifatturiero nelle boite della Pedemontana, mentre la precaria pace sociale si accompagna all’abbassamento delle prospettive di vita e lavoro. Mi pare che la solidarietà che si esprime nelle centinaia di iniziative per sostenere gli esclusi, rimanga più complicata nei posti di lavoro, dove pure qualche organizzazione sindacale riesce a ricostruirla».
Così nel futuro del Veneto – a maggior ragione sull’onda delle crisi strutturali – pesano le contraddizioni irrisolte. «A livello macro, i limiti dell’architettura economico-sociale sono deflagrati con lo "schienamento" di alcune banche popolari» analizza Sacchetto, che insiste: «Poi si è verificata la marginalizzazione politica delle presunte punte di diamante che governano il Veneto... dall’altro secolo. Di conseguenza, cresce la gestione di piccoli potentati che si combattono per continuare a cementificare il territorio. E sulla questione immigrazione si continuano a scaricare i principali problemi. Insomma, nonostante la visione da metropoli, il Veneto rimane un’area in cui si vive in piccoli borghi e comuni di media grandezza. Troppo spesso nell’isolamento. Luoghi sprovvisti di cinema, senza vere occasioni sociali. Il miraggio dell’affrancamento dalla miseria che animava le tute blu dei metal-mezzadri si è trasformato nell’incubo dei contoterzisti stritolati dai committenti, poi nella disperazione dei risparmiatori traditi e ora nelle solitudini moltiplicate dalla pandemia».
Inail, la seconda ondata Covid negli infortuni sul lavoro
L’Inail ha pubblicato il monitoraggio statistico sulle denunce di infortunio sul lavoro da Covid: 131.090 al 31 dicembre 2020.
La seconda ondata è nei numeri (1.599 ottobre, 7.901 novembre e 16.991 dicembre). Il 69,6 per cento dei contagiati sono donne, mentre l’età media dall’inizio dell’epidemia è di 46 anni per entrambi i sessi (gli stranieri sono il 14 per cento).
Il Veneto è al terzo posto nella graduatoria degli infortuni sul lavoro da Covid con il 9,7 per cento dietro Lombardia (28,4) e Piemonte (14,4).
L’emergenza, secondo il rapporto, si riflette naturalmente sui lavoratori del settore più esposto ai contagi. Il comparto della sanità e dell’assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili) ha registrato il 68,8 per cento delle denunce.