I giorni diventati giornale. Il saluto ai lettori e alla Diocesi del direttore Guglielmo Frezza
Con questo numero si conclude la mia direzione della Difesa del popolo. Undici anni intensi, dentro e fuori la redazione che ringrazio per l’impegno e la passione profusa giorno dopo giorno assieme a me. Undici anni che hanno visto cambiare profondamente la nostra società, la nostra chiesa e – giocoforza – anche questo nostro giornale. Trarne un bilancio non è facile, ma può forse aiutare a guardare al futuro con maggiore chiarezza.
La Difesa che oggi avete tra le mani è nata nel 2018, presentata ufficialmente in occasione dei 110 anni di vita del nostro settimanale diocesano. Innestare la novità sulla tradizione, cercare di avvicinarsi ai lettori di oggi senza però smarrire il senso di una missione secolare, cambiare restando fedeli all’intuizione originale: questa è la grande sfida, oggi come ieri come domani. La Difesa nel corso dei decenni è cambiata tante volte, nella grafica, nell’organizzazione dei contenuti, nel formato. Ma è sempre rimasta se stessa, ha sempre coltivato l’ambizione di essere voce della nostra chiesa e al tempo stesso stimolo critico, palestra di discussione e approfondimento, aperta all’intera società per aiutare il confronto attorno ai temi cruciali per la vita dell’uomo e delle nostre comunità.
Abbiamo cercato di farlo anche in questi anni. Penso alla grande questione migratoria, al dramma del gioco d’azzardo, alle problematiche ambientali e di gestione del territorio. Penso soprattutto alla vita politica, nella sua dimensione più alta di servizio, che ci siamo sforzati di accompagnare nei suoi snodi più rilevanti non solo con i nostri articoli ma con una capillare presenza in tanti centri piccoli e grandi della nostra diocesi in occasione delle tornate amministrative, politiche e referendarie. Tra i risultati più belli di questo lavoro, ci sono due importanti premi ricevuti da nostri giornalisti per le inchieste con cui abbiamo accompagnato le campagne elettorali a Padova e in Regione spiegando, proponendo dati, disegnando scenari per aiutare, fuori da ogni partigianeria, una scelta matura e consapevole.
Al contempo in questi anni abbiamo sempre cercato di essere voce fedele e attenta della nostra chiesa, impegnata in una stagione di radicale cambiamento sulla spinta del magistero del vescovo Claudio. Penso, solo per fare qualche esempio, all’impegno per la trasparenza nei bilanci, penso alla rivisitazione del ruolo della parrocchia, penso alla visita pastorale che abbiamo raccontato tappa dopo tappa e che mi auguro possa riprendere al più presto. Penso anche alle tante voci di preti e laici che ci hanno accompagnato con le loro periodiche riflessioni, arricchendo le nostre pagine e i nostri lettori.
Sono particolarmente grato alle tante realtà associative, del volontariato, agli uffici pastorali che nel tempo ci hanno accompagnato e sostenuto in questo sforzo, scegliendo le pagine della Difesa come spazio privilegiato per raccontarsi condividendo con noi obiettivi e ideali: dal Csv alle Acli, dall’Azione cattolica all’Irpea, dal Movimento per la vita al mondo del commercio equo e solidale. Insieme, abbiamo costruito un giornale sempre più ricco e capace di dar voce a chi – per quanto ricco di idee e contenuti – spesso fatica a trovare attenzione e spazio altrove.
E così, uno dopo l’altro, i giorni sono diventati giornali. Sono e rimango un uomo affezionato alla carta. E spero che tutti provino ancora a lungo l’emozione di prendere in mano la Difesa e sfogliarla, gustando l’eleganza della grafica, il colore delle fotografie, l’odore della carta. Abbiamo messo tutto l’impegno, l’intelligenza e la passione di cui disponevamo per fare un giornale bello, anche dal punto di vista estetico.
E tuttavia, accanto alla carta, ci siamo impegnati in questi anni perché la Difesa potesse raggiungere anche quei lettori – i più giovani innanzitutto, ma non solo – che oggi si informano attraverso internet. Il nostro sito, la vivace presenza sui social, le newsletter inviate periodicamente non sono nati per sostituire ma per affiancare e arricchire il tradizionale giornale della domenica. Nei difficili mesi del lockdown abbiamo toccato con mano la loro importanza: grazie all’impegno di una squadra di collaboratori appassionati e competenti siamo riusciti a raccontare in tempo reale quanto andava accadendo e abbiamo portato in migliaia di case la voce della nostra chiesa mentre le parrocchie erano chiuse e le celebrazioni sospese. Un risultato impensabile solo pochi anni fa, di cui vado particolarmente orgoglioso.
Certo, in questo tempo non sono mancate le difficoltà. Anche la Difesa deve fare i conti con il calo delle vendite, le fatiche del mercato pubblicitario, il cambiamento di abitudini. La stampa cattolica in particolare, come tutta la stampa d’opinione, deve confrontarsi con un rapido mutamento culturale e col declinare della pratica religiosa.
Siamo nati in un secolo di ideologie e appartenenze forti, di simboli e riti collettivi, fossero il distintivo dell’Azione cattolica che Gino Bartali portava orgogliosamente all’occhiello della giacca o quell’Unità che Guccini in una delle sue canzoni più belle infila in tasca a pochi audaci. Per decenni il giornale, quale che fosse, è stato per milioni di italiani lo strumento attraverso cui formarsi un’idea del mondo, numero dopo numero, in maniera organica e con riferimenti culturali certi. Oggi che viviamo immersi nelle notizie ogni minuto del giorno, il rischio di smarrire il filo del discorso è sempre dietro l’angolo. Di troppa informazione, o pseudo-informazione, si rischia paradossalmente di morire. Pensiamoci: chi ci aiuta a comprendere cosa è vero e cosa è falso, cosa è importante e cosa è superfluo, cosa è giusto e cosa è sbagliato? Può bastare un post su Facebook a illuminare la realtà?
Questa è oggi la grande domanda che sta di fronte all’intera nostra società, e l’attenzione crescente al tema delle fake news (le vecchie, care bufale) sta a dimostrare quanto sia importante un giornalismo di qualità e quanto il tema dell’informazione si leghi a doppia mandata a quello della qualità della democrazia e della vita sociale.
Anche come chiesa credo che non possiamo e non dobbiamo abbandonare questo campo d’azione – assieme a tutte le altre forme d’impegno culturale e a una presenza efficace negli ambienti di lavoro, di studio, di aggregazione delle persone – se abbiamo a cuore la buona vita della nostra gente e vogliamo continuare a intercettare i grandi temi che attraversano la società. Quando questo giornale è nato nel 1908, con l’obiettivo programmatico di “difendere il popolo”, i nemici erano l’ateismo e il socialismo.
Oggi viviamo in un’epoca post-ideologica, ma quel “popolo” è ancora qui, di fronte a noi, con le sue speranze, i suoi drammi e i suoi bisogni. Mantenere alto l’impegno per offrire a ciascuno un’informazione onesta, veritiera, non incline al sensazionalismo, attenta a verificare sempre le sue fonti, impegnata a individuare e illuminare i grandi temi che danno senso alla nostra vita, rimane un servizio alla persona e alla società che non può essere piegato alle sole logiche economiche.
Questo ho imparato alla Difesa, fin da quando vi sono arrivato giovanissimo. La ho vissuta da collaboratore, incontrandovi tante persone che mi sono state maestre. Vi sono tornato, dopo gli anni di Telechiara e altre esperienze professionali, da direttore. Se guardo al tempo trascorso, so di avere ricevuto molto più di quel che ho saputo dare e certo molto più di quel che avrei meritato. Ho un’infinita gratitudine per la mia chiesa, per le occasioni di crescita che mi ha offerto e per la fiducia che ha riposto in me scegliendomi – primo laico in oltre un secolo – a guidare la Difesa. Nel congedarmi, porto nel cuore tanti volti di preti che mi sono stati maestri. A uno, fra mille cose, devo anche il titolo di questo editoriale.
I giorni diventati giornale sono quelli che don Alfredo Contran – mio e nostro indimenticato maestro di fede e di giornalismo – raccontava ai lettori della Difesa il 30 maggio 1993, lasciando la direzione del settimanale dopo 28 anni. Mi guardo alle spalle, e vedo che anche i miei giorni sono diventati giornale, domenica dopo domenica, in un susseguirsi di idee, progetti, titoli, appuntamenti, discussioni, speranze, sconfitte e vittorie, delusioni e successi.
Ne è valsa la pena, caro don Alfredo. È stato bello spendere qui i talenti ricevuti in dono. Ho tentato di camminare lungo la strada che avevi tracciato per tutti noi. E se dall’alto continui a vegliare sul tuo giornale, in questo mio sforzarmi spero d’averti strappato un sorriso se non compiaciuto almeno indulgente. Come segue il sorriso del padre, i timidi passi d’un figlio.