Globalizzazione addio? Se diventa troppo rischioso dipendere dagli altri
Si è capito in queste settimane quanto la dipendenza da una materia prima indispensabile possa ridurre l'autonomia di un Paese o di un'area economica. Non è un caso se i governi dedicano sempre più attenzione alla necessaria "sicurezza alimentare" (cibo a sufficienza per sfamare la popolazione con scorte adeguate). O alla "sicurezza energetica" , cioè fonti di vario tipo che permettano alle famiglie e alle imprese di vivere, muoversi, produrre. Gli economisti si stanno chiedendo se l'attacco di Mosca, le sanzioni e le contro-sanzioni stiano chiudendo la stagione della globalizzazione che, fra critiche e controindicazioni, si era rafforzata negli ultimi tre decenni.
Si è capito in queste settimane quanto la dipendenza da una materia prima indispensabile possa ridurre l’autonomia di un Paese o di un’area economica. Non è un caso se i governi dedicano sempre più attenzione alla necessaria “sicurezza alimentare” (cibo a sufficienza per sfamare la popolazione con scorte adeguate). O alla “sicurezza energetica” , cioè fonti di vario tipo che permettano alle famiglie e alle imprese di vivere, muoversi, produrre. Potrebbero aggiungere “sicurezza sanitaria”, “sicurezza digitale” , tecnologica e così via. Non c’è solo la sicurezza militare classica, quella che drammaticamente l’Ucraina ha dovuto attivare dopo l’invasione dei carri armati russi.
Gli economisti si stanno chiedendo se l’attacco di Mosca, le sanzioni e le contro-sanzioni stiano chiudendo la stagione della globalizzazione che, fra critiche e controindicazioni, si era rafforzata negli ultimi tre decenni.
Dove i commerci non guardavano la carta identità democratica delle controparti. Si potevano abbandonare produzioni per comprare merci da chi le offriva a basso costo, magari per i bassi salari e le minori tutele ai lavoratori o all’ambiente. La Cina ne ha beneficiato e per questo ha bisogno di mercati globali aperti.Per reazione all’invasione di Mosca sta nascendo una nuova idea di autosufficienza, magari per macroarea, dove si riavviano produzioni per non rischiare la dipendenza da altri.
Oggi sul petrolio, domani sul grano e dopodomani sull’acqua che provoca già guerre in Africa e in Medio Oriente.
Nello scontro di queste settimane, l’Unione Europea sta valutando l’opportunità di acquistare con un portafoglio unico il gas e il petrolio russo per abbassare il prezzo, in attesa di poterne fare a meno. Lo stesso vale per il grano, per il mais e per i fertilizzanti. Russia (terzo produttore mondiale di grano) e Ucraina (quinto nel mais) rappresentano gran parte della produzione mondiale.
Alcuni Paesi non avrebbero pane senza un buon rapporto con le due nazioni in guerra.
La Cina ha il 60% delle scorte mondiali di grano e il 90% dei trasporti marittimi mondiali; anche il trasferimento delle merci assume una valenza strategica quasi-militare. Lo stesso si può dire per i microchip che servono per un mondo sempre più digitale. La produzione è quasi tutta in Asia (Taiwan ha il 22% della produzione, 21% in Corea del Sud, Cina e Giappone con il 15% ciascuno). Non a caso Usa ed Europa stanno cercando di recuperare produzioni strategiche che avevano trascurato comprando da altri. Scoprendo (in ritardo) che non è la stessa cosa vendere un abito di lusso o un barile di petrolio.