Dopo la pausa dei giorni estivi. In riflessione... Nuovo inizio. Scrive don Massimo De Franceschi
Dopo i giorni pieni dell’estate, dopo i giorni delle ferie (per chi ha potuto viverle) il ritmo delle strade è tornato a farsi intenso, aggressivo e snervante; il lavoro (per chi ce l’ha) ha ripreso la cadenza feriale e per migliaia di bambini, ragazzi e giovani la scuola ricomincia.
Dopo le tante esperienze estive proposte, anche le comunità parrocchiali si stanno organizzando per proporre buone cose alla formazione delle persone. Quando tornavo da qualche esperienza estiva o da qualche incontro in cui avevo conosciuto nuove persone, i miei genitori mi ascoltavano in silenzio; a volte sottolineavano il mio dire dicendo solamente “bene...” o qualche altra volta mio padre guardandomi mi diceva: «...e cossa gheto imparà?» (e cos’hai imparato?). La sua domanda mi spingeva - lo capisco ora - a tradurre la bontà dell’esperienza in una concretezza di vita, l’emozione in scelta, il ricordo in quotidianità. Credo sia importante non solo vivere delle esperienze, attraversare anonimamente i tempi che ci sono dati, inventare o proporre cose buone o nuove, ma anche fermarsi e imparare da quel che si vive, dove trovare qualcosa di buono da tenere, qualcosa che aiuti a stare in piedi e a star contenti. Che cosa ho imparato dai giorni estivi? Ciascuno, se vuole, interroghi la propria vita e riassuma quel buono e bello e vero che vorrebbe vivere e mettere in dispensa per la nuova stagione che incomincia
La parrocchia in cui da qualche anno vivo è una di quelle del centro storico della città e qui le cose sono alquanto diverse da quelle della periferia in cui sono stato per vent’anni. Le cose sono diverse, sì, ma i bisogni sono più o meno gli stessi. E così, assieme a un gruppo di persone ci siamo inventati delle proposte da offrire a chi quotidianamente o settimanalmente passa o viene nella nostra chiesa. Ecco, ricordando la domanda dei miei genitori vorrei fermarmi un attimo e non perdere il buon profumo di queste esperienze. Per un mattino alla settimana abbiamo proposto di trovarci alle 6.30 in alcuni punti della città per condividere un’ora di preghiera. In tempi di dominio, di sguardi superficiali, di troppe immagini e di super chiacchiere, vivere un tempo di silenzio disintossica i pensieri e l’interiorità. Prima di stressare il Signore o la Madonna con ripetizioni assillanti di parole e formule varie che chiamiamo preghiere, è buona cosa mettersi in ascolto di quel che si ha nella propria interiorità, che mi piace chiamare cuore. Spesso il nostro dire le preghiere è solo osservanza, abitudine che mette a posto la coscienza per aver soddisfatto un precetto. Questo modo di pregare non aiuta a far verità sulla propria vita e, quindi, porta poco frutto. O così pare a me. Alzarsi un po’ prima al mattino, starsene un po’ nel silenzio e non aver paura di chiedersi “Cosa sto provando dentro di me? Da dove viene questa sensazione? Perché la provo? Che cosa mi fa capire della mia vita? Come posso rafforzarla e custodirla o come posso correggerla?”. E poi ancora “Cosa mi dice Gesù a riguardo, cosa dice la sua parola? Come posso custodire ciò che capisco e come posso metterla in pratica?”. Forse le risposte non verranno subito, forse la distrazione ci attanaglierà… non importa. L’esercizio ci aiuterà. Non è un bene che un figlio veda suo padre o sua madre mettere giù il telefono, starsene un po’ in silenzio, riflettere sulle cose della sua giornata? Non è un bene che gli amici o i fidanzati si diano questo esempio? Non è un bene che i nonni coltivino e insegnino questo modo? Un tempo per il silenzio e la preghiera quotidiana lava gli occhi, fa prendere aria ai pensieri, tonifica il modo di stare nel giorno. Nel fresco della chiesa e nel silenzio accogliente del chiostro, abbiamo proposto alcune serate di incontro con la Parola della domenica: ecco un ingrediente da tenere in dispensa per impastare di verità e di sapore i giorni che ci aspettano. Alcune persone hanno guidato l’appuntamento, lasciando tempo all’incontro personale con la Parola e alla condivisione di quel che l’ascolto ha suscitato nel cuore. Un brano di qualche buon cantautore e una preghiera hanno poi concluso la serata in chiesa e un gelato assieme a qualche chiacchiera, ha fatto continuare a stare assieme. Nulla di nuovo, vero? Vero. Rimane sempre nuova la necessità di non farci maestri ma di rimanere, a tutte le età, apprendisti, discepoli. Rimane nuovo il bisogno di ascoltare Parole che non diano ragione alla stanchezza o allo scoraggiamento o alla ripetizione o alla lamentela, ma che indichino strade, se non nuove, almeno un po’ diverse dalle solite che percorriamo e che sembrano non portarci alla meta. Rimane nuova la necessità di non andare in cerca di parole che ci diano ragione ma che facciano luce. Rimane sempre da scegliere in modo nuovo il nutrire assieme la fede, senza cedere a intimismi che soddisfano certe manie di purezza e perfezione ma che poi portano a isolarsi dagli altri. Condividendo con alcuni amici la passione per il cammino, abbiamo proposto degli appuntamenti per qualche sabato estivo. Uscire dalla propria comfort zone, entrare fisicamente nella natura, provare un’esperienza diversa, vivere la fatica del cammino con qualcuno, condividere quel che si ha, lasciarsi concretamente interrogare da un tema specifico e provare a dare un nome a quel che si ha nel cuore, condividendolo con altri, questo ha permesso ad adulti e giovani (i primi più dei secondi) di vivere una pausa per trovare un po’ di consapevolezza in quel che si vive. Stando con le persone, ascoltando qualche confidenza, approfondendo alcuni argomenti, ancora una volta mi sono reso conto che quel che io penso e capisco è sempre meno di quel che c’è da capire e che per questo è importante rispettare il passo e il vissuto di ciascuno. Ho fatto esperienza ancora una volta che non è importante aver sempre la risposta per tutto, ma che è più importante ascoltare. Credo che anche questo possa essere un ingrediente, un mezzo da usare/vivere nei prossimi mesi nelle proposte di catechesi, di ascolto di sé e della vita e della Parola, e anche per far crescere l’amicizia tra le persone. Le occasioni di preghiera che con alcuni amici abbiamo preparato e offerto sono state espressione di quel che propone la liturgia, dall’ascolto del vissuto, dal confronto con la parola. Nel preparare queste veglie-liturgie, ognuno ci ha messo qualcosa di proprio, con sincerità, senza la pretesa di aver tutto quello che serve per sé e per gli altri, ma con la disponibilità ad accogliere la Grazia che il Signore dona a chi cerca di stare nell’autenticità. Vivere la liturgia nella vita, fare della vita una liturgia, “portare davanti a Dio le questioni del popolo”, accogliere il nutrimento che il Signore con abbondanza moltiplica e dona a chi porta davanti a lui quel che ha, che è, e quel che c’è… Anche questo modo di pregare assieme concreto e meno “rubricista” fa bene. Alcuni amici preti mi prendono in giro dicendomi che nella parrocchia in cui sto è come se fossi sempre in ferie. È vero i ritmi quotidiani sono diversi dalle precedenti esperienze, ma è anche vero che le giornate si riempiono comunque. Ho sperimentato che avere il calendario sempre zeppo di appuntamenti, riunioni, incontri non coincide con l’efficacia; che il dirsi o il dire di non aver tempo, a causa dei troppi impegni, può essere espressione di idolatria o anche di fuga da quel che non piace incontrare o fare. Non condannarsi ad essere efficaci, non obbligare il futuro ad essere come lo programmiamo, ci aiuta a stare nel presente senza vederlo come un qualcosa da domare, ma da accogliere.
Cercare nei giovani segni di vita e di futuro
I giorni della route nel Lagorai con dei giovani scout mi ha riempito il cuore della gioia di vivere e fatto respirare cose belle. Ascoltare quel che dicono, aspettare che lo dicano, che la confidenza maturi, ascoltare come lo dicono, cogliere dentro agli sguardi ciò che vivono nell’anima, stare nei silenzi e nelle risate, scoprire le canzoni che amano, condividere la fatica e godere assieme della bellezza; cercare assieme riparo dal freddo intenso della notte, fermarsi davanti al fuoco anche se gli occhi lacrimano per il fumo, aiutarli ad andare dentro sé per cercare un po’ di verità e far affiorare una preghiera; aspettarsi, aiutarsi, condividere vita e Parola, pane ed eucaristia. La giovinezza di questi ragazzi mi ha fatto sorridere davanti al mio pensarmi sempre giovane e mi ha aiutato a lasciarmi interrogare da quel che pensavo di conoscere (e che magari mi son anche permesso di giudicare) e che invece conosco poco. Ecco, credo sia proprio importante come adulti, preti, comunità, società stare di più con i giovani con l’atteggiamento di chi sta a disposizione con la gioia di starci e non con sufficienza o sopportazione, con il desiderio di cercare in quel che faticano e cercano, che sbagliano e imparano, segni di vita e di futuro.
don Massimo De Franceschi
Parroco di san Francesco in Padova