Digitali ma poco cauti. L'analfabetismo digitale espone a rischi che investono prevalentemente due aspetti: sicurezza e comunicazione
I fraintendimenti e il cattivo uso delle informazioni trovate in rete non sempre si evidenziano a sufficienza, a volte restano insolute.
La pratica della Didattica a Distanza (DaD) e l’impennata dell’utilizzo dei media in occasione dell’emergenza sanitaria Covid19 hanno ancora di più evidenziato la necessità che la scuola si occupi dell’alfabetizzazione e dello sviluppo delle abilità digitali dei propri studenti.
Nei percorsi di educazione civica, previsti dalla Legge 20 agosto 2019 n. 92 e regolamentati dalle Linee guida del 2020, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca aveva già posto l’accento sulle competenze relative alla “cittadinanza digitale” (art. 5 della Legge 92). La questione, però, resta ancora un po’ in ombra all’interno dell’organizzazione dei curricoli scolastici, nonostante il suo carattere di urgenza.
Per “cittadinanza digitale” si intende “la capacità di un individuo di avvalersi consapevolmente e responsabilmente dei mezzi di comunicazione virtuali. Sviluppare questa capacità a scuola, con studenti che sono già immersi nel web e che quotidianamente si imbattono nelle tematiche proposte, significa da una parte consentire l’acquisizione di informazioni e competenze utili a migliorare questo nuovo e così radicato modo di stare nel mondo, dall’altra mettere i giovani al corrente dei rischi e delle insidie che l’ambiente digitale comporta, considerando anche le conseguenze sul piano concreto”. Così recitano le Linee guida Miur e avvertono che “l’approccio e l’approfondimento di questi temi dovrà iniziare fin dal primo ciclo di istruzione”.
In effetti, per una serie di circostanze siamo portati a pensare che i nostri ragazzi abbiano una buona conoscenza del web e siano “autodidatti” nelle competenze digitali. Non è così, purtroppo. Nonostante appartengano alla generazione dei cosiddetti “nativi digitali”, la loro navigazione nel web risulta essere piuttosto estemporanea e improvvisata. I giovani, infatti, appaiono particolarmente sprovveduti nelle questioni che riguardano la privacy, la sicurezza, l’analisi e la rielaborazione dei contenuti rintracciati in rete. Di fatto la navigazione resta quasi sempre una fruizione esplorativa, raramente si trasforma in vera e propria ricerca e approfondimento.
In maniera particolare i luoghi di aggregazione giovanile in rete sono rappresentati dai socialnetwork, lo sappiamo. Ma proprio negli scambi che avvengono su queste piattaforme virtuali si evidenziano maggiormente le lacune dei giovani utenti, che spesso non conoscono a fondo le regole di comportamento in rete (netiquette) e i diritti/doveri di chi agisce nel cyberspazio. Subiscono, quindi, furti di dati e perfino di identità, sono vittime di cyberbullismo, incappano in abusi che riguardano la propria o l’altrui immagine, sono raggirati in truffe virtuali, ecc.
L’analfabetismo digitale espone, quindi, a rischi che investono prevalentemente due aspetti: sicurezza e comunicazione. Per la sicurezza – quando gli abusi non diventano gravi o gravissimi – ci sono delle soluzioni pronte all’uso, come la segnalazione o la denuncia alla polizia postale. La comunicazione, invece, resta un ambito più scoperto e, forse, trascurato. I fraintendimenti e il cattivo uso delle informazioni trovate in rete non sempre si evidenziano a sufficienza, a volte restano insolute. Inoltre, l’incapacità di muoversi all’interno di un universo ricco di possibilità (oltre che di insidie), impedisce di fatto ai giovani utenti di sfruttare a pieno le opportunità che invece questo mondo può offrire.
Saper distinguere una notizia fake, essere in grado di condurre una ricerca in rete, accedere alle diverse banche dati, saper confrontare le fonti e produrre contenuti multimediali: sono soltanto alcune tra le competenze su cui lavorare.
Le direttive ministeriali tornano anche per quanto concerne la cittadinanza digitale a far riferimento al problem solving, una delle soft skills trasversali che dovremmo far maturare nei nostri ragazzi.
Nel caso dell’educazione alla cittadinanza digitale il problem solving può essere sollecitato soltanto facendo appello alle capacità critiche e favorendo un approccio “attivo” nei confronti della realtà che li circonda, quindi anche del cyberspazio.
Significa, ancora una volta, invitarli a sollevare lo sguardo oltre i confini.