Deserto agroalimentare. Nel mondo cresce l’estensione delle terre afflitte dalla mancanza d’acqua
Secondo l’Atlante mondiale sulla desertificazione, oltre il 75% della superficie terrestre è già degradata e questa percentuale potrebbe raggiungere il 90% nel 2050.
Nel mondo avanza il deserto. Non si tratta di una istantanea da fantascienza, ma della semplice fotografia di quanto sta accadendo. Anche in Italia. E a dirlo non sono ecologisti appassionati ma poco attenti ai dati. Il fenomeno è riconosciuto dalla comunità scientifica. Ed ha risvolti in tutto il mondo.
Il tema della desertificazione e dell’uso dell’acqua, è stato ripreso in Italia dalla Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue (Anbi) in una lunga nota diffusa in occasione della Giornata mondiale contro la desertificazione e la siccità. Per capire bastano pochi numeri. Nella Conferenza Internazionale sulle Terre Aride, i Deserti e la Desertificazione, promossa nel 2020 dall’Università Ben Gurion in Israele, dice per esempio l’Anbi, si è affermato che, nel mondo, ogni ora vanno persi 1300 ettari di terra coltivabile, a causa di siccità e desertificazione. Secondo l’Atlante mondiale sulla desertificazione, oltre il 75% della superficie terrestre è già degradata e questa percentuale potrebbe raggiungere il 90% nel 2050. Nell’Unione Europea l’8% del territorio, interessante 13 stati, è a rischio desertificazione; le zone più esposte sono in Spagna, Sud Italia, Malta, Cipro, SudEst della Grecia e nelle aree di Bulgaria e Romania, che si affacciano sul Mar Nero.
E in Italia? Nella nostra Penisola, dice sempre l’Anbi, a rischio è il 20% della superficie totale. Si sposta verso nord, viene spiegato, la Linea del fico d’india, cioè il limite entro il quale una delle piante che resiste di più alla siccità riesce a crescere. Guardando all’Italia, in termini di siccità e acqua, le situazioni si diversificano ma non per questo sono meno preoccupanti. Secondo i dati settimanalmente elaborati dall’Osservatorio Anbi sulle Risorse Idriche, è sempre l’Emilia Romagna a dimostrare un sorprendente trend a rischio. Oltre al fiume Po che, pur in ripresa, resta ad un terzo della portata del 2020 e sempre sotto la media storica, tutti gli altri corsi d’acqua soffrono o addirittura precipitano nei livelli. Criticità idriche si ritrovano anche lungo la linea adriatica. E naturalmente nel Mezzogiorno. Secco in Sicilia, male in Basilicata e Puglia.
Ma a questo punto che fare? Quello dell’acqua e del suo governo non è certamente un problema che si risolve dall’oggi al domani. E certamente non è una questione che può essere affrontato da un solo paese. L’Anbi in ogni caso ricorda: “Di fronte alla situazione, che si delinea, è fondamentale la funzione ecosistemica dei 200.000 chilometri del reticolo idraulico, che innerva la Penisola e che abbisogna di essere adeguato alla nuova realtà dettata dalla crisi climatica”. Che detto in altri termini significa mettere in atto un poderoso progetto di investimenti. “Il nostro Piano per l’Efficientamento della Rete Idraulica – dice una nota dell’Associazione delle bonifiche -, prevede 729 interventi di manutenzione straordinaria, sulla base di progetti definitivi ed esecutivi, capaci di attivare quasi 12.000 posti di lavoro, grazie ad un investimento di circa 2 miliardi e 365 milioni di euro”. Poi c’è il livello europeo. A Bruxelles – viene spiegato -, non devono prevalere “posizioni di ambientalismo fondamentalista, che avrebbero conseguenze pesantissime per l’ecosistema dei nostri territori”. Detto in altri termini, occorre adeguare il sistema idrico ai condivisi obiettivi di sostenibilità, ma senza inficiare la capacità produttiva agroalimentare e, anzi, potenziandola e rendendola più efficace.
Si tratta di un’altra sfida per l’agroalimentare italiano, europeo e mondiale. Una partita importante che, tra l’altro, va giocata da tutti.