Dalla superficie alla radice, indicazioni per il domani
Il cristiano è chiamato a ri-esprimere lo stile di donazione di Gesù: sulle vie dell’amore universale... e degli umili sì quotidiani
In questo tempo rallentato, riprendendo in mano testi lasciati in disparte o non ancora approfonditi come meritano, la lettura più intensa l’ho dedicata alla lettera di san Paolo ai Romani, con la grande visione del «Dio giusto che giustifica chi vive nella fede di Cristo Gesù» (cfr 3,26). Il “vangelo di Paolo” mi è stato utile per sintetizzare diversi aspetti di questo periodo, altre letture e immagini, prospettive per un domani pieno di interrogativi. La “giustizia” di Dio esprime la sua fedeltà alle promesse, realizzate in pienezza, anzi in sovrabbondanza, in Gesù, nella sua croce e risurrezione: credere alla parola del vangelo è la porta che conduce alla salvezza, alla “giustificazione” di ciascuno di noi, alla pace con Dio. Traduzione: Dio accoglie e abbraccia come suoi coloro che credono in Gesù (qui bisognerebbe chiudere gli occhi e ripetersi più volte lentamente questa frase, aggiungendo: anche me dunque).
Da questo annuncio di fede la vita del credente trova direzione e traguardo certo. So che la mia vita non è in balìa del caso o del cieco destino e quindi ha senso lavorare e amare, costruire e stringere i denti, crescere e aiutare a crescere, soffrire anche… So che la mia quotidianità, pur non sempre all’altezza della vocazione cristiana, non è da buttare via, mantiene valore e capacità di bene: la grazia del Cristo risorto è più forte del peccato. So che l’errore non è l’ultima parola e anche uno sfascio esistenziale, un fallimento professionale, un tradimento degli affetti può aprirsi a speranze nuove: me lo confermano messaggi provenienti da amici che stanno ricostruendosi dopo un patatrac o le testimonianze che escono dal carcere, anche di Padova.
So che perfino il passaggio cruciale della malattia e della morte, pur in contesti particolarmente amari come nei mesi scorsi, non sbuca nel nulla, ma nell’abbraccio del Dio della vita nuova. Così, se non mi è stato possibile partecipare al saluto comunitario, ho visto in questa pienezza di luce Franca, conosciuta da 35 anni e partita dopo una lunga malattia (la Difesa l’ha ricordata nei numeri del 10 e 31 maggio). E anche Franco: «Una delle persone più buone, miti e disponibili che abbia mai conosciuto», «mani “sante”, servizievole sempre, gioioso, mite e premuroso; risorsa di esempio operoso e fecondo della vigna del Signore, testimone umile e autorevole della nostra comunità sociale e parrocchiale». Così pure Lucia, amica di lunga data che ha lasciato scritto: «Invito tutti voi presenti a ricordarmi com’ero: mentre ridevo, mentre parlavo con entusiasmo della vita, perché non voglio un funerale che celebri la mia vita e ora la mia morte, ma qualcosa che ci ricordi che, sulla terra e oltre, non tutto è finito». E Gianna, don Antonio, Sabine, Maria Teresa e i molti scomparsi in silenzio e solitudine li penso arrivati al porto della pace, “giustificati” dalla misericordia del Dio che ha mostrato il suo volto umano e liberante in Gesù.
So pure che essere accolti dal Dio della vita chiama a vivere come Gesù: la fede in Cristo e l’impegno di assomigliargli rendono «discepoli missionari», come ripete papa Francesco, cioè a servizio della vita di molti (familiari, vicini, colleghi, lontani…) perché arrivino a scoprire la ricchezza e la bellezza della grazia del Signore, la potenza della sua misericordia. «Accoglietevi gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio» (Rm 15,7). Che stia anche in questa “semplicità” un’indicazione importante per riprendere il cammino dopo questi mesi? Strani ma non assurdi, surreali forse ma certo utili per passare dalla superficie alla radice, dallo standard dell’abitudine alla convinzione interiore, dal rito al cuore. «Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza» (Rm 10,10).