Dal libro "L'educazione secondo Papa Francesco", un invito per docenti e alunni
Finisce l'anno scolastico e si iniziano a porre le basi per il prossimo. Il tempo intermedio tra il giusto riposo e la programmazione del nuovo ciclo è il momento giusto per ri-pensare cosa rappresenta la scuola e quanto il sistema educativo sia importante, non solo per la formazione dell'individuo, ma anche per quella della società. Un tema cui la Chiesa continua a dedicare attenzione e riflessioni e a cui il Pontefice richiama spesso. Dal volume “L’educazione secondo Papa Francesco ” (a cura di Ernesto Diaco) - EDB, un estratto del capitolo a firma di Sergio Cicatelli, Coordinatore scientifico del Centro studi per la scuola cattolica della Cei, che riguarda proprio l'amore per la scuola.
Chi si sia dedicato alla lettura dei numerosi testi prodotti da papa Francesco in soli quattro anni e mezzo di pontificato avrà notato come in essi ricorra spesso il tema dell’educazione, e di quella scolastica in particolare.
La presenza non sembra attribuibile a un semplice dovere pastorale (la Chiesa è maestra, quindi educa) ma all’esperienza concreta di insegnante avuta dal Papa (come è noto, da giovane Bergoglio è stato insegnante di Letteratura e Psicologia), esperienza che lo ha indubbiamente segnato facendogli scoprire le potenzialità e la bellezza dell’attività educativa scolastica.
Forse proprio per questa esperienza personale, a ben guardare, l’educazione non è un tema accessorio ma costitutivo di questo pontificato, sicuramente più di quanto sia accaduto in passato nelle parole di altri pontefici, potendo unire papa Francesco alla sapienza delle parole la testimonianza dell’esperienza vissuta. Del resto, la cifra del suo magistero si ritrova più nei gesti, nell’esempio, che nell’argomentazione dottrinale, secondo l’insegnamento di Paolo VI, per il quale, come è noto, “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”.
In altre parole, per papa Francesco l’educazione non è un’esperienza intellettuale ma un’esperienza di vita, non è solo conoscenza ma anche e soprattutto relazione. Anzi, per un papa che ha fatto della cultura dell’incontro uno dei suoi temi preferiti, si può dire che l’educazione sia soprattutto relazione. L’integralità (o la totalità) dell’esperienza educativa si risolve infatti in una relazione interpersonale e intrapersonale attraverso il frequente richiamo alla vastità e complessità del compito educativo, inteso come apertura alla realtà globale da un lato e come approfondimento di tutte le dimensioni personali dell’educando dall’altro.
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La manifestazione che quel giorno (10 maggio 2014, n.d.r.) si svolse a Roma in piazza san Pietro con la partecipazione di una folla enorme era il punto culminante di un percorso – La Chiesa per la scuola – promosso dalla Chiesa italiana nel quadro del decennio 2010-2020, dedicato proprio al tema dell’educazione. La scuola cui la Chiesa intendeva rivolgersi era tutta la scuola, non solo quella cattolica, come qualcuno poteva immaginare, e stava a dimostrarlo la presenza del Ministro dell’istruzione e di decine di migliaia di alunni e docenti di scuole statali tra il pubblico.
In quella occasione papa Francesco scelse di impostare il suo discorso non sul valore educativo e culturale della scuola ma sull’amore che merita la scuola:
Voi siete qui, noi siamo qui perché amiamo la scuola. E dico “noi” perché io amo la scuola, io l’ho amata da alunno, da studente e da insegnante. E poi da Vescovo.
L’esordio del suo discorso è, come spesso accade nelle parole di questo Papa, spiazzante. Non c’è nulla di ufficiale o di celebrativo. La scuola non è un’istituzione da rispettare o un servizio da sostenere e potenziare: è un luogo da amare, cioè da scoprire come contesto significativo di vita al di là del suo significato formale. I motivi per cui si deve amare la scuola sono almeno quattro, il primo dei quali è una testimonianza personale che ci porta sul terreno di una argomentazione narrativa ed esistenziale, irriducibile agli schemi deduttivi della razionalità analitica:
Perché amo la scuola? Proverò a dirvelo. […] E ho l’immagine del mio primo insegnante, quella donna, quella maestra, che mi ha preso a 6 anni, al primo livello della scuola. Non l’ho mai dimenticata. Lei mi ha fatto amare la scuola. E poi io sono andato a trovarla durante tutta la sua vita fino al momento in cui è mancata, a 98 anni. E quest’immagine mi fa bene! Amo la scuola, perché quella donna mi ha insegnato ad amarla. Questo è il primo motivo perché io amo la scuola.
Il primo motivo di amore per la scuola nasce dunque da una relazione significativa, quella che tanti anni prima un’insegnante aveva saputo stabilire con il piccolo Jorge Mario Bergoglio, ma anche quella che l’insegnante stessa aveva stabilito da parte sua con la scuola: una testimonianza di vita che era stata colta e condivisa da quel piccolo alunno, lasciando il segno fino ad oggi . Per le migliaia di insegnanti che quel giorno affollavano piazza San Pietro era una lezione fondamentale: non si può pretendere che gli alunni amino la scuola se non la amano per primi i docenti.
A quel primo motivo ne seguono altri tre:
- perché è sinonimo di apertura alla realtà;
- perché è un luogo di incontro;
- perché educa al vero, al bene e al bello.
[…]
Le battute conclusive del discorso del Papa del 2014 sono ancora interessanti per comprendere il significato che la scuola ha per lui. Aveva iniziato dichiarando di amare la scuola e conclude con una raccomandazione che è qualcosa di più di una frase di circostanza:
«E per favore… per favore, non lasciamoci rubare l’amore per la scuola! Grazie!».
L’espressione non è nuova in Francesco. Richiama alla memoria quella usata un anno prima, proprio all’inizio del suo pontificato, nell’omelia per la Domenica delle Palme che celebrava la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù, quando rivolto ai giovani aveva detto: «E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza!».
La formula utilizzata – non lasciarsi rubare qualcosa – è più di una raccomandazione. È una denuncia contro una cultura che tende a rifiutare o delegittimare sentimenti positivi o, in questo caso, addirittura virtù teologali (l’amore e la speranza). È un’espressione forte che sottolinea la preziosità di ciò che potrebbe essere oggetto di furto. Se in un caso la speranza è quella pasquale, nell’altro la scuola assurge al rango di un luogo importante da difendere e custodire, perché è al suo interno che ognuno di noi cresce e matura i propri punti di riferimento (concetti, abitudini, valori).
Più in particolare, non lasciarsi rubare l’amore per la scuola è un’invocazione controcorrente (altro concetto spesso usato da papa Francesco) in un contesto come quello italiano, che da decenni ormai parla di scuola quasi solo per denunciarne le carenze o i limiti. Ancora una volta le parole del Papa sono un’iniezione di ottimismo e di fiducia per tutti coloro che frequentano la scuola, al di qua e al di là della cattedra.
Sergio Cicatelli