Cresce la devozione alla beata Eustochio
Cresce la devozione alla beata Eustochio, sepolta nella chiesa di San Pietro, la religiosa padovana vissuta nel Quattrocento che fu "vittoriosa contro il maligno".
La chiesa di San Pietro è conosciuta come “santuario della beata Eustochio” perché qui è sepolta la monaca nata e morta nel 15° secolo nel vicino monastero di San Prosdocimo, il cui corpo è venerato nella cappella laterale dal 1806, dopo la soppressione napoleonica del suo cenobio (oggi la chiesa di San Prosdocimo è duomo dei militari). Un trasporto che doveva essere furtivo e invece si trasformò nel corteo notturno di tanti devoti padovani.
Ancora oggi la devozione alla beata Eustochio è viva, anzi appare in crescita, come spiegano l’arciprete della Cattedrale, mons. Umberto Sordo, e mons. Piero Brazzale, postulatore diocesano delle cause dei santi, che celebra ogni terzo sabato del mese la messa nella chiesa, recitando la preghiera di guarigione per dare sollievo alle anime tormentate da tanti mali interiori.
In quell’occasione è offerta, e ampiamente utilizzata anche la possibilità di confessarsi. «Senza alcuna promozione, solo attraverso il passaparola accorre al cospetto dell’urna della beata un gran numero di persone e di famiglie in cerca di sollievo per sé e per i propri cari; un crescente bisogno testimoniato dal libro delle visite, gremito di messaggi del tipo “Cara Lucrezia, ti ringrazio perché sono venuto a chiederti una grazia e me ne hai fatte tre”». Sono persone che vivono situazione di “disagio dell’anima” proprio o familiare. Vengono in pellegrinaggio gruppi provenienti dai luoghi più disparati; all’ultima messa – testimonia mons. Brazzale – erano presente fedeli da Verona, Brescia, Bergamo, Asti, Carpi... Arrivano richieste di informazione perfino dal Brasile, dalle Filippine. Un mese fa è giunto come ex voto un cuore d’argento “segno di ringraziamento per le grazie e le guarigioni ottenute pregando la beata Eustochio”.
La beata è quindi conosciuta e venerata come “la monaca vittoriosa contro il maligno”. La sua vita, in estrema sintesi, appare tutta rappresa attorno alle sevizie inflitte da uno spirito diabolico che si manifestò fin da quando aveva pochi anni e si fece presente con momenti di pausa e crisi drammatiche fino alla morte, ad appena 26 anni, nel 1469.
D’altra parte anche il contesto in cui Lucrezia Bellini (questo il nome secolare) visse non fu certo sereno: nacque nel 1444 da una suora del monastero del Gemola, Maddalena Cavalcabò, circuita da Bartolomeo Bellini. Allontanata la madre, il padre mise a balia la piccola e solo a quattro anni la prese in casa, accendendo l’ostilità della matrigna. Al manifestarsi di comportamenti aggressivi, subito attribuiti a un’intrusione diabolica, non si trovò di meglio di metterla come educanda nello stesso monastero in cui era nata, una comunità in grave crisi, al punto che il vescovo, Jacopo Zeno, nominò una nuova badessa causando la fuga di monache ed educande.
Rimase solo Lucrezia che aveva trovato nell’ascesi e nella contemplazione rifugio alle vessazioni demoniache e chiedeva di vestire l’abito benedettino. Dalla consacrazione, nel 1461, in cui assunse il nome di Eustochio, alla morte fu un autentico calvario, che seppe sopportare con pazienza e umiltà. Sul suo sepolcro fiorirono i miracoli...