Coronavirus Covid-19. Il sociologo Mario Pollo: “Da incertezza e paura, nuova umanità e autentica forza”
Di fronte all’aumento esponenziale del numero dei contagi e alle misure di contenimento e contrasto sempre più stringenti salgono l’incertezza e la paura, ma per il sociologo la perdita di certezze può avere dei risvolti positivi e la paura può costituire un importante meccanismo di difesa per sé e per gli altri
E’ un nemico invisibile, imprevedibile e sfuggente. Insidioso. Si è abbattuto sulle nostre vite imponendo una brusca frenata alle nostre abitudini e facendo crollare molte delle nostre certezze. Stiamo imparando a vivere alla giornata, seguendo l’andamento dei contagi. Ma l’incertezza diffusa può far nascere una nuova consapevolezza di sé e un sano ritorno all’essenzialità. A condizione che non si trasformi in angoscia per il futuro. Ne parliamo con Mario Pollo, antropologo dell’educazione, già docente di sociologia e pedagogia all’Università Lumsa di Roma, secondo il quale, la prima “lezione” dall’emergenza coronavirus è che
“il futuro non dipende solo dal presente”.
“Gli eventi che stiamo vivendo – l’analisi del sociologo – ribaltano la nostra convinzione, legata ad una sorta di positivismo/determinismo secondo il quale certe azioni nel presente sono in grado di determinare e “controllare” il futuro. Già Euripide sosteneva che, al conosciuto, un dio all’improvviso apre la via allo sconosciuto, all’imprevedibile. Fare i conti con il tasso di imprevedibilità della vita umana ci introduce ad un altro concetto smarrito: il senso del limite. Due sono i limiti naturali e inderogabili che segnano la nostra vita: nascita e morte. Invece
noi ci pensiamo come esseri a-mortali
e ci aggrappiamo al fitness e ad uno stile di vita sano per tentare di sfuggire all’invecchiamento e al decadimento: un modo per esorcizzare la morte mentre questa emergenza sanitaria ce la riporta brutalmente davanti agli occhi. E questo non è male: come sosteneva Heidegger, l’uomo raggiunge la piena maturazione di sé solo quando acquisisce la consapevolezza di essere in cammino verso la propria morte”.
E ancora: per Pollo “stiamo riscoprendo la nostra fragilità umana, il nostro essere vulnerabili e accomunati, tutti, da una finitezza che dobbiamo accettare.Pensiamo di essere forti perché rimuoviamo questa condizione, mentre è solo accettandola che potremo far maturare in noi una nuova umanità e un’autentica forza”.
L’isolamento imposto dalle misure di contenimento del virus, prosegue il sociologo, “ci aiuta a riscoprire che la forzata separatezza dagli altri – che possono costituire un pericolo per noi, come allo stesso modo noi per loro – svela come il nostro io sia sempre legato a un tu e a un noi, in una relazione di appartenenza ad un tutto del quale siamo una parte distinta e cosciente ma senza il quale non possiamo esistere e del quale siamo tutti responsabili”.
Ed è proprio il peso di questa “assenza” che, paradossalmente, “ci rende l’altro più presente e ci impone di pensare non solo al mio benessere ma anche al suo”.
“Stiamo inoltre riscoprendo – prosegue Pollo – che la vita non è fatta solo di esteriorità; questo può aiutarci a ricalibrare la nostra esistenza riscoprendo la dimensione profonda dell’interiorità e dell’essenzialità, rivelazione in fondo di una unità più forte con il tutto”.
“Di fronte all’evento inatteso – osserva il sociologo – ci si può rifugiare in una sorta di negazione, sottovalutando il problema e trascurando le norme di sicurezza per continuare la vita di prima mettendo a rischio se stessi e gli altri”; c’è anche chi, al contrario, “si fa prendere dall’angoscia cadendo vittima del panico e divenendo, a sua volta, propagatore di paure infondate anche attraverso le più inverosimili fake news”. Oppure “ci si può affidare totalmente alla razionalità scientifica: anche se ad oggi non esistono terapie specifiche, so che seguendo tutte le prescrizioni delle autorità sanitarie avrò un’elevata probabilità di non cadere vittima del coronavirus”. Questa, per Pollo, la via preferibile, anche se costa sacrifici, accompagnata dal riconoscimento e dall’accettazione della propria fragilità “come parte costitutiva di sé”. Insomma, non rimuovere la paura né farsene travolgere, ma viverla in modo sano e costruttivo perché, come insegnano le vecchie guide alpine,