Cooperazione allo sviluppo e Covid-19. Del Re: “Lavorare sinergicamente per dare risposte efficaci”
Nonostante l'avanzata del Coronavirus non si ferma l'attività di cooperazione nel continente africano: il lavoro dei cooperanti italiani continua a sostenere la vita di numerose popolazioni già vittime di una situazione a dir poco difficile. Il Sir fa il punto con la viceministro per gli affari esteri e la cooperazione internazionale Emanuela Del Re
Prosegue l’attività sul campo della cooperazione italiana allo sviluppo in Africa. Malgrado una lenta ma costante avanzata del Covid-19, il lavoro dei cooperanti italiani continua a sostenere attraverso vecchi e nuovi progetti la vita di numerose popolazioni già vittime di una situazione a dir poco difficile. Ne abbiamo parlato con Emanuela Del Re, viceministro per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, che nei giorni scorsi ha svolto una serie di video conferenze con i principali componenti del sistema italiano, allo scopo di confrontarsi sulle principali problematiche che le attività di cooperazione stanno affrontando, a causa dell’emergenza pandemica.
Covid-19 e Continente africano: ci sono statistiche aggiornate che danno il quadro della situazione?
Anche l’Africa deve affrontare il Covid-19. I casi ufficiali finora nel continente sono oltre 13 mila, di cui il 60% si trovano nell’Africa Sub-Sahariana e più o meno il 25% in Sudafrica. Ma i dati sono in continua evoluzione.
Gli Stati africani stanno adottando misure sempre più drastiche per far fronte all’emergenza.
In Egitto, ad esempio, è stato imposto il coprifuoco notturno. Nella maggior parte dei Paesi africani sono chiusi i mercati, sono sospesi gli eventi sportivi e culturali, sono vietati gli incontri religiosi e politici. Talvolta si ricorre all’esercito per garantire il rispetto delle misure. Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo, è stata isolata dal resto del paese per rallentare la diffusione del virus. Lo stato di emergenza è stato dichiarato ovunque, per periodi di tempo più o meno lunghi; ad esempio in Sierra Leone, che peraltro non ha ancora confermato alcun caso di Covid-19, lo stato d’emergenza è di un anno.
C’è un piano economico arginare i danni provocati dal Covid-19 in Africa?
Due settimane fa la Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa ha stimato in 30 miliardi di dollari l’impatto economico dell’emergenza nel continente. Devo dire che però questa somma non appare sufficiente. Basti pensare che il premier Aby dell’Etiopia – peraltro premio Nobel 2019 per la pace – ha rivolto un appello al G20 perché si metta in atto un pacchetto di emergenza da 150 miliardi di dollari per l’Africa, oltre a misure di cancellazione o ristrutturazione del debito,
tenuto conto che il Covid-19 rappresenta una serissima minaccia esistenziale per le economie di tutti i Paesi africani.
Quali conseguenze sta avendo la pandemia sul sistema della cooperazione italiana (in Africa e non solo)?
Stiamo vivendo un momento eccezionale, unico nel suo genere per l’epoca contemporanea, la più grande emergenza sanitaria dal Dopoguerra ad oggi.
Siamo tutti coinvolti, da nord a sud da est a ovest, e tutti insieme dobbiamo lavorare sinergicamente per dare risposte efficaci.
Al Ministero il lavoro continua incessante. Nei giorni scorsi ho tenuto una serie di video conferenze con i principali componenti del sistema italiano della cooperazione internazionale, e ci siamo confrontati sulle principali problematiche che le attività di cooperazione stanno affrontando a causa dell’emergenza pandemica.
Come vi state muovendo?
Ci attendono mesi complicati che comporteranno verosimilmente anche una ridefinizione delle iniziative e dell’intera programmazione dell’attività della Cooperazione allo Sviluppo, alla luce dell’emergenza in corso. Tutto sarà modulato in base all’evolversi delle circostanze. Ci stiamo interrogando insieme alla Direzione generale della cooperazione allo sviluppo della Farnesina, all’Aics e a tutti gli attori del sistema-cooperazione, raccogliendo necessità, bisogni, proposte.
Tra le priorità nuove è da intendersi sicuramente la lotta al Covid-19 e tutto ciò che questo comporta: programmi ancor più mirati nel settore della sanità e della prevenzione, iniziative di awareness specifiche soprattutto per i gruppi più vulnerabili e, quindi, più esposti al contagio, e maggior sostegno alle comunità locali.
Si tratta di settori di intervento nei quali siamo già impegnati da tempo ma che, con l’emergenza che stiamo vivendo, necessitano di un ripensamento per massimizzare risorse, sforzi e bisogni,
sempre ascoltando quanto ci arriva “dal campo”, in collaborazione e partnership con le comunità locali e sempre con gli stessi grandi valori “italiani” che ci ispirano e che guidano la nostra azione.
Al momento come è la situazione?
Molto fluida e a macchia di leopardo. In alcune zone dell’Africa, ad esempio, i contagi sono pochissimi, ma si teme una loro accelerazione, mentre altri Paesi del Continente hanno già chiuso i confini. Anche la situazione in America Centrale si sta rapidamente evolvendo, come in Medio Oriente, dove in alcuni Paesi sono già in vigore da fine febbraio restrizioni alla mobilità interna e ad assembramenti.
Previsioni di come potranno evolvere le attività delle Ong nei prossimi mesi sono difficili.
L’Aics ha concesso ai soggetti esecutori che ne facciano richiesta (Organizzazioni della società civile, enti territoriali, università, imprese) proroghe extracontrattuali per 4 mesi, al fine di dare a tutti la possibilità e il tempo per comprendere verso quale direzione muoversi, come riorganizzare le attività in futuro. Ciò dipenderà molto dal Paese partner di attuazione delle iniziative e dal come il Covid-19 si sarà diffuso nel Paese medesimo.
Concretamente, sul campo, quali le iniziative poste in essere per arginare gli effetti negativi del Covid-19 sul lavoro della nostra Cooperazione?
Dall’inizio della pandemia è attivo un “tavolo tecnico Emergenza Covid-19” con l’obiettivo di garantire tutto il supporto necessario e di “scrivere” insieme a tutti gli attori del sistema cooperazione italiana alcune regole necessarie per affrontare nel miglior modo questo momento. Abbiamo contatti costanti con tutti gli attori in campo. Stiamo lavorando innanzitutto per far fronte all’emergenza ed evitare che la “macchina cooperazione” si fermi. Il nostro obiettivo principale è quello di
garantire la prosecuzione di quante più attività e progetti possibili cercando di venire incontro alle loro necessità e richieste
sia sul piano burocratico-amministrativo sia relativamente al “supporto finanziario”.
Ad esempio?
Stiamo lavorando, per esempio, all’estensione delle proroghe extra-contrattuali e alla gestione eccezionale delle iniziative finanziate/co-finanziate dalla Cooperazione italiana.
Le Osc hanno chiesto fondi aggiuntivi per sostenere i progetti: è in atto una profonda e puntuale riflessione, di concerto con gli altri ministeri, Mef e Lavoro e politiche sociali in primis. Nel Decreto “Cura-Italia” sono già previste delle azioni per il Terzo Settore che, in fase emendativa, possono essere perfezionate per essere rese più incisive ed efficienti.
Come si sta muovendo la Farnesina per assistere i nostri cooperanti all’estero? C’è chi vuole tornare ma anche chi vuole restare…
La Farnesina ha già rimpatriato oltre 30 mila connazionali dall’estero. Molti altri saranno rimpatriati nei prossimi giorni e nelle prossime settimane perché si continuano a organizzare voli speciali e ad assistere in loco tutti quelli che ne facciano espressamente richiesta. Con la mia Segreteria siamo impegnati, in stretto coordinamento con l’Unità di crisi, la Direzione generale della cooperazione allo sviluppo della Farnesina, l’Aics, le sedi Aics all’estero e le nostre rappresentanze diplomatiche, e costantemente in contatto con le reti di Osc, a fornire tutta l’assistenza ai nostri cooperanti all’estero e a tutti gli operatori della cooperazione. Le singole Osc in coordinamento con le reti di Osc hanno già stilato delle liste con tutti i contatti dei cooperanti che si trovano all’estero e queste liste, che costituiscono un censimento degli operatori italiani della Cooperazione all’estero sono già state condivise con le rappresentanze diplomatiche di competenza.
Molti cooperanti hanno deciso di restare e di continuare, nei limiti del possibile, a lavorare.
Molti cooperanti che si trovavano in zone particolarmente remote e difficili da raggiungere hanno fatto ritorno nelle principali città perché ormai sono diventate frequenti le norme sul coprifuoco e il lockdown.
La pandemia Covid-19 con i suoi effetti (su sanità, economia, finanza, società, sviluppo…) sta suscitando anche domande sul futuro (a medio e lungo termine) della Cooperazione, nuovi programmi e priorità, nuove urgenze e investimenti e più strette sinergie, per esempio con le agenzie dell’Onu. È pensabile che accada?
Certamente. L’architettura globale della cooperazione allo sviluppo si sta muovendo, sul piano internazionale, su due piani: da una parte, la risposta immediata, sul piano sanitario, per far fronte alla pandemia; dall’altra, la risposta sul piano economico, sociale e di sviluppo per affrontare le sue conseguenze e ogni attore deve fare la sua parte. Come Italia abbiamo già manifestato la necessità, in questo nuovo contesto, che il coordinamento sia massimo.
La pandemia Covid-19 si sta diffondendo su scala globale e sta colpendo non solo l’Occidente e i paesi maggiormente attrezzati sotto il profilo sanitario e socio-economico, ma anche intere aree del mondo con strutture sanitarie più fragili e con popolazioni che vivono in situazioni di costante emergenza umanitaria, soprattutto per il perpetuarsi di conflitti armati (Siria, Yemen, Libia solo per citare alcuni esempi), di eventi meteorologici estremi (siccità e alluvioni, o i cicloni che hanno colpito lo scorso anno il continente africano), di epidemie (ad esempio Ebola). La diffusione del Covid-19 in queste aree rappresenterebbe un’ “emergenza nell’emergenza”, e una difficilissima sfida da superare.
Insomma, è come dire che “piove lì dove è già bagnato” …
Esatto. In queste aree del mondo, l’accesso all’acqua, al cibo, all’igiene, a cure sanitarie, o all’istruzione di base è possibile in gran parte solo grazie alla solidarietà e al sostegno della comunità internazionale. I bisogni umanitari nel mondo, prima dello scoppio della pandemia di Covid-19, erano già enormi e la comunità internazionale era già fortemente mobilitata per continuare a prestare assistenza umanitaria e protezione alle persone in condizione di particolare vulnerabilità, ad iniziare dai rifugiati dagli sfollati, e in particolare donne e bambini.
I campi profughi e gli insediamenti informali presenti in diverse aree del mondo sono le situazioni che destano particolare preoccupazione nella comunità umanitaria, proprio per la difficoltà ad adottare misure di prevenzione e contenimento del virus
che molti Paesi, a iniziare dall’Italia, hanno da tempo cominciato ad adottare.
Che tipo di risposta si sta approntando?
A questo proposito le Nazioni Unite e il Movimento internazionale della Croce Rossa hanno recentemente presentato due piani di risposta umanitaria, per un valore di 2 miliardi di dollari il primo e di 800 milioni di franchi svizzeri il secondo, identificando specifici obiettivi e aree di intervento. È importante in questo momento, in cui si moltiplicano gli appelli internazionali, concentrare e coordinare forze e risorse disponibili.
Nonostante l’Italia sia tra i Paesi più colpiti in assoluto, non bisogna dimenticare che essendo un Paese membro dell’Unione Europea, del G7 e del G20, nonché un importante attore di cooperazione, non possiamo far mancare il nostro contributo alla riposta globale. Abbiamo contribuito al piano di risposta attuato dall’Oms e contiamo di contribuire anche all’appello globale umanitario lanciato dal segretario generale delle Nazioni unite Guterres con tutte le agenzie.
Questa pandemia rappresenta un grandissimo rischio per lo sviluppo sostenibile e per la crescita.
Certamente i programmi di cooperazione si riadatteranno per intervenire sulle sue conseguenze ma dobbiamo anche agire per arrivare più preparati alle prossime crisi.
La tutela della salute ha la priorità?
Oggi siamo tutti più consapevoli della centralità della salute e del rafforzamento dei sistemi sanitari, che peraltro è una delle aree di priorità tradizionali della cooperazione italiana, in cui abbiamo sempre ottenuto eccellenti risultati. Desidero quindi cogliere l’occasione per esprimere il mio più profondo e sincero ringraziamento a tutti gli operatori sanitari e umanitari che operano in Italia e nel mondo, alla componente umanitaria delle Nazioni Unite, al Movimento Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, ai numerosi operatori delle organizzazioni della Società Civile, impegnati in prima linea con professionalità e spirito di abnegazione.
Vorrei dire loro che l’Italia, malgrado il terribile momento che sta attraversando, continuerà ad essere al loro fianco in nome di quel principio di solidarietà che ha caratterizzato, da sempre, la storia del nostro Paese.
Papa Francesco ci ha ricordato che “nessuno si salva da solo”: desidero da parte mia esprimere un sentimento di profonda gratitudine per tutti coloro che nel mondo – e nel nostro stesso Paese – stanno compiendo gesti tangibili e concreti di empatia e solidarietà.
L’Italia è sempre stata uno dei Paesi leader nel campo della cooperazione internazionale. Attualmente quanti sono i progetti della Cooperazione italiana nei Paesi in via di Sviluppo, quanti cooperatori coinvolge e con quanti finanziamenti?
Le posso dire che l’anno scorso abbiamo avuto oltre 1000 progetti attivi e abbiamo erogato finanziamenti complessivamente superiori a 300 milioni di Euro per interventi diretti nei Paesi partner. In questa impegnativa attività le organizzazioni della Società Civile giocano un ruolo fondamentale: secondo una stima per forza di cose approssimativa delle stesse Reti delle organizzazioni della Società Civile oggi sarebbero oggi circa 1.500 i cooperanti impegnati oggi nella realizzazione di progetti in varie parti del mondo e soprattutto in Africa.
Alla luce della sua lunga esperienza sul campo, come potrebbe descrivere tutto quel popolo dei cooperanti italiani sparsi nel mondo, e in particolare a coloro che hanno deciso di rimanere accanto alle popolazioni anch’esse colpite dal virus che si è andato ad aggiungere ad altre croniche difficoltà?
Sento di dover lodare i nostri cooperanti che stanno proseguendo la loro preziosa attività nonostante le condizioni imposte dall’emergenza che stiamo vivendo: si tratta di una scelta nobile e generosa. Ciò contribuisce una volta di più a testimoniare l’empatia dell’Italia nei confronti del mondo, nella piena consapevolezza che questa guerra contro il virus va affrontata con un approccio globale, in diversi luoghi, su diversi fronti ma con la medesima efficacia.
Sono tante le strategie che possiamo mettere in pratica con gesti individuali e con politiche mirate per allargare questa comunità che ci appartiene.
Ma non possiamo farlo da soli, perché abbiamo la responsabilità di agire per noi stessi ma anche per tutti coloro che guardano a noi con speranza. Molte persone che pure si trovano nei paesi più fragili e vivono nelle condizioni di vita più terribili (rifugiati, siriani, yemeniti e altri) hanno espresso solidarietà nei confronti degli italiani, e questo ci fa veramente onore. Ci fa capire che è necessario, finalmente, adottare una visione globale a tutto tondo, che parta da valori fondamentali come la solidarietà.
Amerigo Vecchiarelli