Comunione, premio o medicina? Comunque dono
Fa bene fare la comunione e dovrebbe essere questa la “normalità” per tutti quelli che partecipano alla messa.
Giorgio è un ragazzo vivace, a scuola è quasi impossibile vederlo fermo, ma stavolta l’ha fatta grossa: una risposta stizzita al prof di fisica gli ha procurato una nota e la convocazione dei genitori dalla preside, con relativa solenne arrabbiatura. Antonella, una simpatica e ordinata ventenne, da quando ha conseguito la patente sembra essersi scatenata, in velocità stradale e in libertà oraria protratta fino a ore piccole: a poco valgono raccomandazioni e scenate… sembra trasformata. Ma quando arriva a casa una multa di oltre 340 euro per eccesso di velocità, è il finimondo! Secondo voi, domenica al pranzo di famiglia ci saranno anche loro o saranno esclusi? Potranno gustare i cibi preparati da mamma e nonna o resteranno a guardare e invidiare gli altri commensali?
Non so se possa sembrare azzardato partire da normali situazioni familiari per parlare di comunione eucaristica, certo non vuole essere irriverente.
Sono convinto che più si legano liturgia e vita, meglio si può apprezzare la valenza esistenziale di quanto si celebra; più si dà pregnanza di vita e senso ai segni (e i sacramenti cos’altro sono?), meglio si entra nella simbologia del mistero.
E allora «se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre celeste ne darà a voi»: se i genitori terreni non rifiutano la mensa ai figli che sbagliano o li fanno arrabbiare (e vergognare talvolta), il Padre buono e misericordioso come tratterà i figli che ama anche se sbagliano?
La mia convinzione – opinabile certo, spero non eretica – è che fa bene fare la comunione, e dovrebbe essere questa la “normalità” per tutti quelli che partecipano alla messa. Non arrivo a invitare esplicitamente, quasi a forzare, i fedeli a fare tutti la comunione, come usa qualche confratello in occasioni particolari… mi pare però che, nelle domeniche normali, siano ancora molti, troppi i “non avvalentesi”.
Forse qualche riflessione esplicita su questo punto non guasterebbe, portando avanti l’idea che la comunione non è un premio per i bravi (e poi, chi sarebbero i bravi? Gli osservanti delle regole, come i farisei?... Gli zelanti più papisti del papa?) ma un dono per tutti. Tutti figli, pur peccatori; tutti «beati invitati alla mensa»; tutti bisognosi dell’energia d’amore proveniente dalla Pasqua di Cristo.
«L’eucaristia non è un premio per i buoni, è una medicina per i deboli» ha affermato papa Francesco, dialogando con don Marco Pozza nel programma tv Padre nostro e spiegando che «il regno di Dio è una festa, siamo a tavola. La forza della presenza di Dio oggi nel mondo è proprio a tavola, nell’eucaristia con Gesù. Per questo chiediamo di dare da mangiare a tutti noi».
Cristo si è fatto nostro cibo non solo per essere celebrato o adorato ma primariamente per essere mangiato!
Andrebbe meglio valorizzato, a mio avviso, il valore di perdono che la messa esprime nell’atto penitenziale e in più occasioni: il «sangue versato in remissione dei peccati» e lo scambio della pace; il «non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua chiesa» e il «dì soltanto una parola e io sarò salvato». Se le parole hanno valore (performativo, dicono i dotti), se le pronuncio credendoci, se c’è una comunità che insieme prega queste parole, porteranno effetto, no?
Anche se mi sento in colpa (grave), potrei dunque fare la comunione ugualmente (e poi andrò a confessarmi appena possibile)?
Non mi sfugge il fatto che in questa materia molti fedeli già si “organizzano” in proprio e decidono, in coscienza, cosa fare, anche al di là delle norme ecclesiastiche: ma dare serenità ad altri meno intraprendenti sarebbe senz’altro un’opera di bene. Anche in questo campo una buona teoria aiuterebbe una sana pratica.
PS. Per tranquillizzare i più legati alla tradizione. «Il concilio di Trento dice che nel caso in cui ci sia un peccato non grave, ma di natura veniale, l’eucaristia toglie questo peccato. Peccato è un termine complesso… e si deve vedere nel foro interno – nel sacramento della Penitenza – se c’è veramente un peccato grave o forse un peccato veniale o forse nulla. Se è soltanto un peccato veniale, la persona può essere ammessa al sacramento dell’Eucaristia. Questo corrisponde già alla dottrina di papa Giovanni Paolo II» (card. Kasper).