Come muta la famiglia. La complessità sociale che la politica non è capace di cogliere
La campagna elettorale ha dimenticato il vissuto delle donne, alle prese con molti risvolti della maternità, come si vede ne I figli degli altri
Si discute molto su come sarà la vita delle donne in Italia dopo il voto del 25 settembre, più spesso ancorando il dibattito all’unico tema divisivo dell’aborto e dimenticando in parallelo un ventaglio di questioni femminili trasversali e quanto la “società degli affetti” sia cambiata e sia tutt’oggi ancora in forte mutamento. Una campagna elettorale che non ha dimenticato, quindi, solo la il cambiamento climatico, l’affaire du siècle, ma anche la complessità della strutturazione delle famiglie contemporanee imbracciando piuttosto temi “bandiera”.
Anche se poi la vita di tutti i giorni magari si gioca (anche) su questioni meno rumorose, ma che in definitiva possono costruire direttrici relazionali comunitarie più o meno armoniose. Arriva in sala in tal senso, proprio in questi giorni, il film francese I figli degli altri di Rebecca Zlotowski, approdato all’ultimissima Mostra del Cinema di Venezia, che tenta una fotografia intima, mai sociologica, di uno degli aspetti contemporanei dell’organizzazione delle cosiddette famiglie allargate. Il tema della “matrigna” – un sostantivo non di facili speranze al centro del film – rappresenta una questione/figura che abita nella sua delicatezza tantissime sedute di psicoterapia familiare da più prospettive: l’ex moglie, magari lasciata proprio per lei, che si sente messa in pericolo nella sua genitorialità dalla nuova compagna; quest’ultima che sente di essere entrata in una cristalleria che esisteva molto prima di lei; i figli che vivono questa donna come la crepa di un idillio che, magari non era mai esistito; il marito che non sa che pesci pigliare in mezzo a queste posizioni femminili che hanno tutte le loro legittime emozioni (e diritti da proteggere).
Ogni storia di famiglia allargata porta a galla delle complessità che spesso per alcuni anni, quando va bene, richiedono tantissime energie per ricostruire uno scenario familiare che sia rispettoso per tutti, grandi e piccoli, e ne sappia ascoltare le voci. Sono questi punti di vista più marginali che interessano la 42enne Zlotowski fino a farne un film con protagonista Rachel, una docente molto appassionata e interpretata dalla 45enne Virginie Efira, volto belga della commedia francese. Entrambe con età nei paraggi del gong dell’orologio biologico, alla conferenza stampa della Mostra del Cinema hanno spiegato quanto I figli degli altri cerchi, con una rincorsa, di coprire un vuoto narrativo meno pregiudiziale sulla figura della “new entry”, appunto la fiabesca matrigna, troppo spesso vittima di tanti clichés – anche proprio grazie al cinema – che mettono in una posizione di grande sofferenza prima di tutto la persona che si cela dietro a questa maschera di ruolo, ma nel tempo anche altri membri della famiglia.
Rachel non è solo la nuova compagna di Alì, un uomo molto dolce conosciuto a un corso serale di chitarra per adulti e che, quindi, non c’entra nulla con la separazione dalla moglie interpretata da Chiara Mastroianni. Rachel è una donna che mette tutta sé stessa nelle lezioni, nei colloqui con gli alunni per le esperienze di scuola-lavoro e che cerca nei consigli di classe di mettere sempre prima la persona di ogni forma di rendimento. Rachel non accetta che la scuola sia un luogo di fallimento umano dove i ragazzi vengono inquadrati in un profilo solo numerico.
Molto affezionata al padre ebreo e alla sorella con cui spesso si vedono per la preghiera in sinagoga, la protagonista è una donna equilibrata e presente a sé stessa. Pronta ad aspettare che i tempi siano maturi per conoscere e affezionarsi anche a Leila, la figlia di Alì, man mano che questo progressivo avvicinamento si compie Rachel si rende conto di non aver mai ascoltato il suo desiderio di maternità, probabilmente perché, in assenza di un compagno, veniva appagato dalla intense dinamiche scolastiche, ma che ora – proprio «quando gli anni sono mesi» come le ricorda il paterno ginecologo interpretato dal poliedrico Frederick Wiseman – viene a galla come un’onda di piena che talvolta rischia di soffocarla o di travolgere la relazione con Alì. Siamo equilibrati, in definitiva, fino alla prima curva che mette a soqquadro un quadretto che fino a poco prima funzionava. Le voci marginali di Rachel e Leila che si alternano nella loro centralità narrativa sono quelle parole periferiche che spesso non abitano le aule di tribunale o i salotti terapeutici dove ex compagni se le danno di santa ragione, ma che ne I figli degli altri creano un clima di autentico ascolto di bisogni che più prima che poi vanno colti nel loro rumore assordante per lasciare spazio a tutti e ricreare davvero una nuova armonia. Un obiettivo troppo fiabesco? Anche il film avrà da dire le sue su questo esito così rincuorante tuttavia il tentativo di non fare solo la guerra, ma anche quel famoso amore, è davvero forte e chiaro.
Arianna Prevedello
Scrittrice e Animatrice Culturale