Baggio: “Una politica fraterna per ritrovare fiducia e futuro”

Il filosofo politico Antonio Maria Baggio analizza la crisi della politica globale: serve una nuova stagione democratica fondata su fraternità, conoscenza e cooperazione tra generazioni, per affrontare ingiustizie, guerre e disuguaglianze crescenti

Baggio: “Una politica fraterna per ritrovare fiducia e futuro”

“Lì dove la democrazia è un sogno, lì dove si impedisce la libertà, prima o poi va in crisi anche l’economia”. Non ha dubbi Antonio Maria Baggio, professore ordinario di Filosofia politica all’Istituto Universitario Sophia, di Loppiano (Firenze). Interpellato dal Sir sulla situazione attuale della politica mondiale ed europea, il docente auspica l’avvento “di una politica capace di costruire il bene anche per gli altri, di una politica di fraternità che non usi un linguaggio di guerra il cui obiettivo, alla fine, è solo allontanare le posizioni e istigare sfiducia”.

Professore, in questi anni ha girato il mondo per parlare di filosofia della politica, di etica della politica. Le domando: come sta la politica, è in salute?
Girando il mondo si ha una visione più lucida della realtà della politica, delle conseguenze delle decisioni che vengono prese dai più potenti. Una costante che ho riscontrato è che, se non c’è una buona politica anche l’economia crolla e il crollo dell’economia è alla base del fenomeno delle migrazioni. Tutto questo emerge con maggior chiarezza nelle periferie del mondo: le decisioni del potere centrale spesso provocano e alimentano povertà e disagio e la situazione è veramente tragica. I popoli che vivono in condizioni di prosperità, di libertà e di relativa uguaglianza sono pochi. Allora si capisce quanto sia importante la democrazia, per quanto imperfetta e, guardando nel nostro cortile, quanto sia importante il processo di costruzione di una Unione Europea da parte di popoli che si sono combattuti reciprocamente fino a pochi anni fa.

Professore, usciamo da due guerre mondiali, una più cruenta dell’altra. Malgrado ciò venti di guerra soffiano già da tempo in Europa e non solo. Altri poi, ancor più devastanti, potrebbero soffiare nel mondo. Cosa è successo in questi anni, dove, a suo avviso, si è inceppato il meccanismo, di mantenimento della pace?
A me sembra si sia perso il senso del disegno originario. Quello che si voleva attuare era un obiettivo politico, cioè la pace tra i popoli. Quello è il motivo per cui è nato questo processo di costruzione europea. Un processo che si avvaleva di strumenti economici è vero, ma è vero anche che fin dalla dichiarazione Schumann era molto chiaro e che l’obiettivo era e resta politico, non economico. L’economia era uno strumento perché bisognava ricostruire un’Europa che usciva in macerie dal secondo conflitto mondiale sia dal punto di vista materiale che morale. Quello che a me sembra sia successo, è che dopo aver ottenuto i primi risultati concreti di benessere, sia stata smarrita la direzione, la meta che si voleva raggiungere.

Secondo lei la colpa è del benessere?
Non del benessere in sé ma del modo in cui l’abbiamo vissuto. Il benessere è necessario per avere una vita buona, ma la vita buona è una vita di relazioni e se il benessere materiale si trasforma in un’arma che va a distruggere le relazioni questo non va bene. L’Europa è cresciuta perché è stata costruita da una generazione che aveva molto sofferto, ma col passare degli anni la percezione del benessere ha inciso anche sulla qualità della classe politica che è venuta meno. Ecco perché la Chiesa invita a prendere la politica come una strada di scelta generosa, forte. Non a caso le fragilità politiche portano a dare spazio al potente di turno, a chi ragiona in termini di forza.

… agli uomini forti.
Esatto, e questa è la seconda cosa che abbiamo dimenticato, e cioè che questo era nel disegno originale di un’Europa unita. La forza può distruggere ma non è mai sufficientemente in grado di costruire. Pensate all’attacco subito dagli Stati Uniti nel 2001. Ecco, l’America era ed è ancora lo Stato più forte del mondo, ma la sua forza non è stata sufficiente a garantire la sicurezza. C’è bisogno di una politica di costruzione del bene anche per gli altri, di una politica di fraternità. La povertà e il disagio non possono né devono mai giustificare crimini terroristici, questo è vero, ma è vero anche che, se si coltiva un brodo di ingiustizia a livello mondiale, è più facile che possa venir fuori qualcuno che prende la strada sbagliata del giustizialismo.

Professore, lei accennava all’incidenza, al ribasso, del benessere sulla qualità dell’azione politica. Riscontra questo andamento anche per quanto riguarda il linguaggio della politica?
Sì, non c’è dubbio e questo si lega al ragionamento fatto poc’anzi e cioè che la politica non è guerra. Usare un linguaggio di guerra o dispregiativo, in politica, è contraddittorio. La politica è ciò che noi facciamo proprio perché abbiamo accettato che anche chi la pensa in maniera diversa da noi accetta, come noi, i principi generali che ci uniscono come comunità. Se uso un linguaggio di guerra metto in discussione questa condivisione dei principi e pur non esplicitandolo apertamente di fatto dico che l’altro è un nemico. Noi assistiamo spesso a esternazioni di rabbia tra i nostri politici. Chi lo fa in quei momenti non sta ragionando politicamente. Quindi, l’appello che i cittadini devono inoltrare ai politici e indurli a realizzarlo non è tanto “essere buoni” o “avere buon cuore”, ma vedere razionalmente che entrare in queste dinamiche di odio, anche verbale, li allontana dagli strumenti politici costruiti grazie alla democrazia e per la democrazia.

Come giudica quanto sta accadendo in Europa e questa nuova stagione di rapporti con gli Stati Uniti
Noi abbiamo sempre visto gli Stati Uniti come quelli che ci hanno aiutato a liberarci dalle dittature che si erano costruite in Europa. I cimiteri di guerra, pieni di giovani americani e non solo, presenti in Italia e in varie parti d’Europa, lo stanno a testimoniare. La vita non è gratis, la sicurezza non viene regalata, c’è sempre qualcuno che paga per quello che tu hai e questo è proprio un principio educativo. Ma se adesso, quelli che noi vedevamo in questo modo, iniziano a parlare e a comportarsi come bulli, col grande che picchia il più piccolo, non solo abbandonano il terreno della politica ma dimostrano di non aver imparato la lezione. Tutto questo, alla fine, produrrà un “effetto rebaund” estremamente dannoso perché distrugge la fiducia. Viene sempre il momento in cui anche il più forte ha bisogno di aiuto e nessuno è forte abbastanza da eliminare le conseguenze delle scelte con le quali calpesta gli altri. Sentirsi definire “parassiti” dispiace, ma soprattutto, contribuisce a generare un clima di diffidenza e allontana gli Stati Uniti dall’Europa. Al momento abbiamo perso la Russia. La Russia è Europa. Ci siamo nutriti della letteratura russa, abbiamo la santità dei russi, la filocalia, la spiritualità, fonti che hanno nutrito l’Europa e il cristianesimo. Ora, invece, ci troviamo lontanissimi a causa di quella assurda guerra scatenata nei confronti dell’Ucraina. È un delitto che durerà decenni. Se quindi dovessimo “perdere” anche gli Stati Uniti, verrebbe meno un’altra grande componente dell’equilibrio europeo.

Cosa deve fare l’Europa?
L’Europa ha davanti a sé un compito necessario ma terribile: riconciliarsi con tutte le proprie tradizioni culturali. I nostri politici litigano perché uno brandisce la libertà, l’altro l’uguaglianza, un altro ancora la nazione. Cose tutte necessarie che devono però equilibrarsi. La politica, in questo momento, ha bisogno di sapere, di conoscere, non si improvvisa. Le nostre tradizioni portano ciascuna dei valori che non possono essere utilizzati per colpire l’altro. Il grande tentativo europeo deve essere quello di unire ciò che oggi appare difficile mettere insieme. Bisogna tornare ad un’economia sociale di mercato. I progetti dei primi 20 anni post Seconda Guerra Mondiale hanno avuto successo perché mettevano insieme libertà, uguaglianza, diritto e dovere. Dobbiamo ricostruire, non tornare indietro e per fare questo c’è bisogno di un’alleanza tra i giovani, chiamati a spendere le loro migliori energie, e gli anziani cui spetta il dovere di mettere la loro saggezza a disposizione di tutti. L’obiettivo è costruire una cosa nuova, in grado sia di recuperare che di continuare a trasmettere l’ispirazione originaria.

Un patto tra generazioni, come più volte auspicato dal Papa…
Sì, è necessario e se non lo si stringe al più presto, rischiamo di morire. Un patto da allargare anche agli altri soggetti della nostra società, che mini alla base il concetto, ahimè sempre più diffuso, che l’uno possa ricavare un maggiore benessere togliendo qualcosa all’altro. Questo tipo di logica, quella in cui uno vince e l’altro perde, non regge più, soprattutto in una società complessa come quella attuale. Non c’è più una sola legge in grado di spiegare tutti i fenomeni che avvengono, conviviamo infatti con tanti sottosistemi; da quello, ad esempio, dei “no-vax” a quello di chi pensa che tutto possa risolversi con la violenza. Se tutti questi sottosistemi si rendono autonomi, abbiamo una società frantumata. Noi, e mi riferisco agli europei, ce ne siamo accorti durante la pandemia, tempo in cui forse le divisioni politiche si sono acuite, dando linfa a movimenti, più o meno visibili, che hanno contribuito a far rinascere nel vecchio continente partiti che professano esplicitamente posizioni violente … cosa che non avremmo mai pensato prima. Bisogna però ricordare che i fenomeni populisti sono un fattore comunque legato alle democrazie. Le ribellioni non mediate, spontanee, mettono in evidenza i fallimenti della democrazia che però, come diceva Churchill, è “la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.

Amerigo Vecchiarelli

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Fonte: Sir