Avanti, con giudizio. La ripartenza sarà lunga
La ripartenza sarà un processo lungo e complesso che richiede decisioni tempestive ma anche capacità di guardare avanti.
Contro tutte le semplificazioni e le scorciatoie ideologiche, che purtroppo l’emergenza coronavirus non ha tacitato, bisogna essere consapevoli che la ripartenza sarà un processo lungo, complesso. Essa richiede decisioni tempestive ma anche capacità di guardare avanti, più avanti della ridda quotidiana di ipotesi di cui si riempiono i mezzi di comunicazione. E’ un’impresa che chiama in causa competenze diverse ma necessita di una sintesi coerente; presuppone l’impegno di ciascuno ma anche spirito unitario e coesione sociale; esige coraggio ma soprattutto molta prudenza, perché il Covid-19 non è affatto sconfitto.
E’ una sfida che va ben al di là dei confini nazionali e tuttavia questo non può diventare un alibi per non rimuovere due nodi politici interni che rendono ancora più ardua la ripartenza e rischiano, se non di comprometterla, di zavorrarla in modo insostenibile.
Il primo riguarda l’atteggiamento nei confronti del governo. Per fortuna siamo in un Paese democratico e criticare l’esecutivo è possibile senza correre il rischio di finire in galera. Situazione per nulla scontata se ci guardiamo intorno, anche soltanto tra gli Stati della Ue, purtroppo. Ciò premesso a scanso di equivoci, il continuo chiacchiericcio intorno alla presunta necessità di sostituire il governo in carica con un altro è francamente autolesionistico. Un conto è criticare le scelte del governo – e nel frangente in cui siamo bisognerebbe farlo anche in modo severo ma comunque responsabile – un conto è delegittimarlo, quasi che non avesse titolo a proseguire nel suo mandato per manifesta inettitudine dei suoi componenti, a cominciare dal presidente del Consiglio. In un confronto onesto con chi guida gli altri Paesi, il nostro Governo non ha affatto sfigurato nell’insieme della risposta all’emergenza, anzi. Chiedere a Washington e a Londra per avere lumi al riguardo. L’esecutivo ha fatto anche degli errori, ovviamente, ma se è per questo sul versante delle opposizioni si sono viste continue giravolte e salti di corsia. Il punto è che nella situazione in cui si trova il Paese l’ipotesi di una crisi di governo è del tutto irragionevole. Né ha senso prefigurare ora scenari politici futuribili. Tirare in ballo una “riserva della Repubblica” della statura di Mario Draghi, da parte di forze che fino a poco tempo fa lo hanno dipinto come un pericoloso esponente dei cosiddetti poteri forti e che dei cruciali rapporti con l’Europa hanno una visione chiaramente incompatibile con la sua, non può che apparire strumentale.
L’altro nodo è quello del ruolo delle Regioni ed è almeno in parte connesso al primo. Lo è nella misura in cui il continuo smarcamento rispetto alle decisioni di carattere nazionale non è stato espressione di specifiche esigenze territoriali ma ha rivelato finalità politiche alternative o ha messo al primo posto obiettivi di consenso locale. La ripartenza non può che essere del Paese nel suo insieme e una diversa articolazione territoriale ha senso e rappresenta una risorsa soltanto all’interno di un piano nazionale. Ne va dell’efficacia della strategia prima ancora che della correttezza dei rapporti istituzionali. E se lo meritano gli italiani per la risposta che hanno dato e stanno dando, al Nord come al Sud. La storia del pensionato che era stato ricoverato a Bergamo nei giorni dello tsunami e che si è risvegliato dal coma a Palermo dove nel frattempo era stato trasportato e curato, dice più di mille editoriali.