Aperti al nuovo e, da credenti, fiduciosi nella Provvidenza
Come porsi di fronte a un mondo che è cambiato, sta cambiando e cambierà? E al mutamento continuo della Chiesa? Due atteggiamenti utili
Qualche domenica fa ho concelebrato l’eucaristia festiva con una cinquantina di adulti e qualche figlio in una cappella d’istituto che sembrava dimensionata perfettamente per l’assemblea presente: è stato un momento partecipato, caldo, intenso. Che differenza, ho pensato tornandomene a casa, da una messa domenicale con lo stesso numero di partecipanti dispersi in una chiesa tre/quattro volte più ampia, dove il celebrante è almeno sette scalini più in alto dei fedeli (e magari d’inverno si battono i denti). E mi sono chiesto: fra qualche anno dovremo abbandonare o abbattere edifici troppo grandi, disfunzionali alla vita comunitaria? Cosa faremo di fronte ai cambiamenti cui assistiamo continuamente anche riguardo alle esigenze delle comunità cristiane?
Domande simili, su un fronte più ampio, mi sono venute, per un collegamento... pindarico, assistendo all’evento-spettacolo “Centodieci è progresso”, proposto a tutti i ragazzi del Barbarigo nell’ambito delle iniziative centenarie. Si sono ammirate evoluzioni e rivoluzioni della tecnologia, dai robot alle automobili senza guidatore, dalle protesi artificiali ai prodigi delle stampanti 3D, con enormi possibilità per migliorare (e allungare) la vita umana e aiutare chi vive difficoltà di vario genere. Entusiasmante lo show finale: tutti in giardino, stupiti di fronte alle meravigliose potenzialità dell’auto a intelligenza artificiale già da anni utilizzata dal conduttore dell’evento. Chi avrebbe immaginato quindici anni fa di avere il navigatore in auto o di confezionare prodotti tipografici senza muoversi dal proprio tavolo in ufficio? Dove porteranno le nuove batterie a ricarica quasi istantanea? E i robot che fanno camminare i paraplegici e aiutano ad alzare pesi gravosi?
Come fondo comune a questi interrogativi c’è un dato di fatto: il mondo è cambiato, sta cambiando, cambierà. A una velocità inimmaginabile, che spiazza e confonde le persone. Con prospettive in parte non prevedibili. E dubbi e domande non da poco.
Come porsi allora di fronte a questo mutamento continuo? A me sembrano necessari almeno due atteggiamenti: l’apertura al nuovo e, da credenti, la fiducia nella Provvidenza. Atteggiamenti prima di tutto mentali, con intelligenze rivolte all’analisi più che alla critica sistematica o alla protesta più o meno lamentosa, al progetto (che etimologicamente è proiettarsi in avanti) piuttosto che al rimpianto. E anche con un cuore largo, che cerca di vedere il bene presente, magari in forma parziale o embrionale, in ogni situazione; che vuole – e non uso il verbo a caso – comprendere le persone e le vicende umane, facendo di tutto per cogliere e ricavarne gli aspetti positivi e, magari, intuire il “Dio che sa scrivere dritto sulle nostre righe storte”.
La fiducia nella Provvidenza porta a considerare che anche questo mondo e questo tempo di mutamenti epocali sono abitati dall’amore di Dio, che tutto guida per il bene dell’umanità e della sua Chiesa. Non mi dilungo in considerazioni spirituali da tutti facilmente condivisibili e forse date per scontate (ma non per superate, spero), accenno solo a fatti e situazioni odierne in cui mi pare di cogliere il lavorìo paziente della Provvidenza: l’avvicinamento, pur iniziale, tra Santa Sede e Cina; il coraggio della nostra diocesi di avviare nuovi impegni missionari in Amazzonia ed Etiopia; la crescente responsabilità verso il creato; le coppie e famiglie che si mettono a servizio dell’evangelizzazione, magari ridando vita a canoniche vuote di parroci…
Anche nella Chiesa molto è cambiato, sta cambiando, cambierà.
E giovano a poco i profeti di sventura o gli apocalittici a oltranza, bravi a elencare quel che non funziona (e chi non vede i limiti di molte realtà, anche ecclesiali?) ma incapaci di rimboccarsi le mani e darsi da fare per migliorare le cose, fare squadra, coinvolgersi in progetti costruttivi.
Chiediamo (e alleniamo!) occhi puri per accorgersene, un cuore buono per accogliere, una mente lucida per comprendere. Anche perché, come insegnava l’antico maestro cinese Lao Tzu «quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla».