Video choc con il neonato affogato e il morto nel bagno di ospedale. Don Patriciello: “Utili se scalfiscono le nostre coscienze addormentate”
"Vedere con gli occhi del cuore la sofferenza degli altri, mettendosi nei loro panni": è l'invito che viene da don Maurizio Patriciello, dopo le ennesime tragedie di barconi affondati e migranti morti, anche neonati, e i drammi che si vivono quotidianamente negli ospedali intasati per il gran numero di pazienti Covid. E se, per rispetto, non è bene diffondere sui social video che attestano tutto questo dolore, non è sbagliato vederli per sapere la verità ed entrare in empatia con l'altro
Due video drammatici stanno facendo il giro del web: quello rilanciato dalla ong Open Arms, con il grido disperato della madre del bimbo morto nel naufragio dell’11 novembre, nel Mediterraneo – “Ho perso mio figlio”, “Dov’è mio figlio?” -, e quello girato nel Pronto Soccorso dell’Ospedale Cardarelli di Napoli, intasato per l’afflusso di pazienti sospetti Covid, con un uomo deceduto nel bagno. I barconi che affondano ogni giorno, cancellando vite umane in fuga dall’orrore della Libia, e la disperazione di malati alle prese con un male che altrettanto quotidianamente semina morte e lascia ferite nei familiari di chi non ce la fa. Ne parliamo con don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano.
Quel grido di dolore della mamma del neonato, affogato nelle acque del Mediterraneo, riesce ancora a scuotere le coscienze?
Gli uomini fanno l’abitudine a tutto. Basti pensare come abbiamo vissuto i primi mesi della pandemia e come stiamo vivendo adesso, eppure la situazione è molto più grave in queste settimane ma ci abbiamo fatto l’abitudine: a marzo e aprile eravamo terrorizzati e chiusi in casa, adesso è difficile far capire alle persone la necessità di essere più responsabili. Lo stesso avviene per le tragedie del mare:
sembra quasi che il numero dei morti non ci facciano più impressione, se leggiamo che sono annegate 10 persone o 110 è la stessa cosa.
Allora, se non ci mettiamo nei panni degli altri, l’egoismo che è dentro di noi prende il sopravvento. Pensiamo a cosa significa per una mamma vedere scomparire tra le onde il figlio, inghiottito dal mare, io non riesco neanche a immaginare quel dolore. Posso pensare che il primo pensiero che le venga è di gettarsi dalla barca per annegare assieme a lui. La disperazione di quella mamma mi richiama a quando ero un giovane infermiere professionale e ci fu il terremoto nell’Irpinia, nel 1980: io corsi subito là per dare una mano. Restai impressionato dai vivi sotto le macerie che chiedevano aiuto ma noi non avevamo i mezzi per tirarli fuori e pian piano quelle voci si spegnevano. I parenti che si erano salvati sembravano impazziti dal dolore e si mettevano a scavare con le mani con il rischio di restare anche loro sotto le macerie. Queste sono le scene più belle della grandezza dell’amore dell’essere umano quando mette a rischio la sua vita per l’altro.
Molti faticano ancora a vedere nei migranti dei fratelli…
Il Papa insiste che dobbiamo aprire il cuore ai migranti, ma anche tanti cattolici non comprendono, però
se chiudiamo il cuore possiamo pure sigillare le nostre chiese e mettere un cartello con scritto “Chiuso”,
riferito non solo alla porta della chiesa ma anche a quella del nostro cuore. Un conto sono le questioni politiche -chi viene in Italia pensa di approdare in Europa perché le nostre coste sono le più vicine, ma l’Europa per troppo tempo ha fatto finta di non capire -, un conto è il discorso cristiano. La Chiesa non lascia mai da solo nessuno. Il Papa ci ricorda quanto ci dice Gesù chiaramente, nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: “Ero forestiero e mi avete ospitato, ero nudo e mi avete vestito, ero ammalato e mi avete visitato”. Tutto questo ci richiama le condizioni dei nostri fratelli migranti. Il Signore dia a questa povera mamma che ha visto sparire il figlio tra i flutti la grazia di incontrare, nella destinazione dove arriverà, persone dal cuore grande, che le apriranno le porte della casa e della famiglia, avendo il coraggio di dire: “Abbiamo ospitato Gesù tra noi”.
Secondo lei è stato giusto diffondere il video con l’urlo disperato della mamma?
È un discorso simile a quello che possiamo fare per il video girato al Cardarelli con l’uomo morto in bagno e la condizione terribile in cui stavano gli altri pazienti. Io ho lavorato per dieci anni in ospedale, conosco bene le difficoltà e nessuno pensa di accusare i sanitari, anzi dobbiamo ringraziarli per tutto quello che stanno facendo. Il problema sono le strutture e i numeri: cosa possono fare medici e infermieri quando arrivano continuamente malati? E, ancora, il problema è che abbiamo vissuto un’estate da irresponsabili, abbiamo pensato ai banchi con le rotelle o ai monopattini, mentre sarebbe bastato vedere quello che successe con la Spagnola e la sua seconda ondata che fece oltre 50 milioni di morti… Allora, l’uomo che ha fatto la ripresa al Cardarelli era un uomo esasperato. Io non l’ho pubblicato sui miei profili social perché sarebbe stato irrispettoso per quella persona deceduta nel bagno. Ma
dobbiamo dire anche con molta onestà: noi non possiamo andare nei reparti Covid né sappiamo cosa succede veramente. Quell’uomo attraverso il video ci ha fatto vedere nel Pronto Soccorso del Cardarelli in che condizioni si sta, senza voler scaricare la croce su nessuno. Lo stesso possiamo dire del video della mamma che ha perso il bimbo tra le onde: è utile se scalfisce le nostre coscienze addormentate. E chi salva una vita salva il mondo intero.
Ma allora dovremmo guardare o no simili video?
Io ho un caro confratello, don Fortunato Di Noto, presidente di Meter. Quando sono andato a trovarlo ad Avola gli ho chiesto di vedere i video delle violenze sui neonati perché non riuscivo a capacitarmi come fosse possibile. Sono video orripilanti. Ma penso che dovremmo vedere questi video, anche spietati, anche se non in televisione, perché un conto è leggere certe vicende dolorose e un altro è vederle con i propri occhi. Questo ci aiuta a non fermarci a numeri, ma a considerare i volti di coloro che soffrono. Quando Gesù racconta la parabola del Buon Samaritano sottolinea che al contrario degli altri che passano oltre, lui vede l’uomo assalito dai briganti e ne ha compassione. Come diceva don Pino Puglisi, se ognuno facesse qualcosa, allora si può fare molto. Ecco,
chiedo al Signore la grazia di essere strabico: un occhio per guardare l’immediato, il mio vicino di casa, il mio parente; e l’altro occhio per spaziare per il mondo intero sull’umanità perché ogni uomo è mio fratello.