Una violenza e tante domande. Dovremmo interrogarci a fondo su una certa deriva educativa e sociale ormai sempre più preoccupante
Le notizie di cronaca corrono veloci e raccontano le drammatiche "avarie" di questo sistema, spesso però limitandosi a sollecitare la risposta emotiva del pubblico.
L’estate ci lascia una nota amara in bocca, chiudendosi con la cronaca raccapricciante di uno stupro di gruppo consumato sul lungomare di Palermo.
Il fatto, com’è noto, coinvolge giovani tra i 17 e i 22 anni. Leggiamo increduli il racconto riportato dai media e i terribili messaggi scambiati tra i ragazzi nelle ore successive all’abuso.
Com’è possibile che una sera d’estate, che dovrebbe essere vissuta a quell’età all’insegna del divertimento e della spensieratezza, possa trasformarsi in una trappola di cinismo e di violenza?
Come società civile e comunità educante dobbiamo limitarci a condannarne la crudele ferocia e a considerare il fatto come uno spiacevole ma isolato episodio, o forse dovremmo interrogarci a fondo su una certa deriva educativa e sociale ormai sempre più preoccupante?
Che aria stiamo facendo respirare ai nostri figli?
Gli attuali modelli di riferimento sono estremamente contraddittori. Si spendono molte energie e vengono coniati slogan per tutelare l’emancipazione e la libertà della donna, ma di fatto i media traboccano di immagini di “corpi” femminili fortemente sessualizzati.
La cosiddetta “rivoluzione sessuale” che connota orgogliosamente il tempo presente sembra tener conto soltanto della “carne”, trascurando quei recessi interiori che essa custodisce.
Nella teoria si rivendicano diritti e rispetto reciproco, nei fatti però fiction, pellicole cinematografiche, musica giovanile e alcuni “influencer” ammiccano e alludono continuamente alla cultura della prevaricazione e dell’aggressione. In questa società il modello “predatorio” risulta vincente, negarlo è da ipocriti.
Il dark web alimenta fiumi di denaro e ad accedervi sono giovani, giovanissimi e anche meno giovani.
L’idea di libertà è sottoposta a continue mistificazioni, viene confusa con la trasgressione a tutti i costi e con l’assoluta mancanza di limiti. Scade facilmente in una specie di idolatria dell’ego.
Intanto le notizie di cronaca corrono veloci e raccontano le drammatiche “avarie” di questo sistema, spesso però limitandosi a sollecitare la risposta emotiva del pubblico e di fatto evaporando al compimento della parabola di sensazionalismo.
Cosa resta, al di là degli orripilanti dettagli di una violenza nelle nostre memorie? Quale sentiero tracciano questi drammi nel nostro cammino evolutivo?
Mentre il rutilante mondo del paradosso sponsorizza sé stesso, i suoi richiami trovano amplificazione nello smarrimento educativo che ci affligge.
I nostri adolescenti sono immersi in una sorta di secondo liquido amniotico, la solitudine. Separati dal mondo degli adulti dalla “barriera del suono” degli onnipresenti auricolari e risucchiati dallo specchio nero degli smartphone, sfuggono alle nostre tediose spiegazioni e ai nostri goffi tentativi di dialogo.
Questo accade perché continuiamo ad affrontare i temi educativi, il confronto intergenerazionale, la cura delle coscienze come un fatto privato: nell’era globale occorre una educazione globale, che coinvolga in sinergie efficaci la famiglia, gli educatori, la scuola, gli enti locali e soprattutto la politica.
Se la violenza serpeggia ovunque ed esplode nel degrado, là dove trova la breccia della fragilità, della rabbia, della disperazione, non possiamo ignorare quel degrado: occorre che la comunità educante se ne faccia carico.
Il degrado conduce allo sbando, rende rapaci e crudeli. Eppure accade che bambini, figli di tutti e di nessuno, crescano privati dell’infanzia e imparino presto a scimmiottare eroi ed eroine del web, desiderando “essere ricchi”, imparando che il sopruso se attuato con astuzia porta al successo, muovendosi in branco come lupi.
Non c’è niente di più pericoloso di chi non ha nulla da perdere!
Come si può insegnare il senso della dignità e della responsabilità se la società degli adulti è la prima a tradire questi valori?
Come può la scuola fare breccia nel disagio dei giovani delusi con i suoi ingenui paternalismi sul merito e sul valore dell’impegno? La scuola è sola, presa nel fuoco incrociato delle trincee delle classi difficili e degli attacchi di chi dovrebbe sostenerla, ma di fatto rema contro.
In questo scenario la paura si autoalimenta nutrendo l’odio e le contrapposizioni sociali, paralizzando di fatto la speranza di un cambiamento.