Un disagio incompreso. «Le baby gang non esistono»
«Le baby gang non esistono» sostengono le realtà che con i ragazzi sono in dialogo e che con loro costruiscono espressioni alternative alla violenza
L e baby gang non esistono. Ne sono certi gli operatori di strada, quelli che i ragazzi li incontrano sul loro terreno e ci parlano. Le baby gang sono una forzatura che nasce dall’incomprensione. Che gli adulti non comprendano i ragazzi lo scrivono nero su bianco i dati dell’indagine Adolescenti in Italia: che cosa pensano gli under 18 e cosa dicono gli adulti realizzata dall’impresa sociale Con i Bambini in collaborazione con Demopolis. Che gli adulti non capiscano i ragazzi lo pensa il 58 per cento degli adolescenti tra i 14 e i 17 anni (il 54 per cento nel 2023). La tendenza emerge anche dagli altri temi indagati dallo studio: scuola, violenza, dipendenza da internet, rapporti personali e viene confermata anche dal percorso di “Non sono emergenza”, campagna di sensibilizzazione sul tema del disagio degli adolescenti, promossa da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile che ha fatto tappa a Padova lo scorso 23 ottobre. Un disagio forte quello degli adolescenti, testimoniato dalle molte cooperative e associazioni che in collaborazione con le amministrazioni comunali lavorano sul territorio. La Bottega dei ragazzi ha appena concluso il progetto “Faive-5 cose che...” (che gioca anche con il senso di “faville, scintille”) che ha preso origine da un sondaggio che evidenziava la distanza tra i due mondi, quello dei ragazzi che hanno fiducia nel futuro e quello adulto che ha lo sguardo chiuso: «Si punta il dito sul problema violenza e non si vede che quello è sintomo di un disagio molto più ampio – spiega Viola Longu de La Bottega dei ragazzi – Con “Faive” abbiamo incontrato ragazzi tra i 13 e i 27 anni aprendo un dialogo e ci siamo messi in ascolto. Abbiamo chiesto di cosa hanno paura, del futuro, quali sono le cose importanti per loro, cosa pensano del mondo adulto. Ne è uscito un quadro ricchissimo, abbiamo lavorato con 20 Comuni padovani e in due anni abbiamo incontrato 2.500 ragazzi e raccolto 500 questionari compilati e consegnati alle amministrazioni comunali. Le cosiddette baby gang non esistono: si chiamano così tra loro con ironia e spesso sono solo dei dodicenni annoiati che hanno spaccato una cosa che non dovevano spaccare. Non sono un fenomeno del contemporaneo: le botte i ragazzi se le sono sempre date. Diventano branco perché non hanno niente da fare e, quando stanno male, stanno sempre peggio se non trovano opportunità e ascolto. Per questo l’animazione di strada è uno strumento fondamentale: prende in considerazione la voce dei ragazzi nella costruzione di progetti, altrimenti si rischia di costruire servizi bellissimi che ai giovani non interessano perché non parlano la loro lingua».
A Padova, invece, l’amministrazione comunale sostiene molti progetti e tra questi spicca “Impariamo a sognare”, per minori tra gli 11 e i 17 anni nella zona sudest della città, un bando ministeriale sul contrasto alle povertà educative che coinvolge 23 soggetti (cooperative, associazioni e istituti scolastici) con capofila la cooperativa Cosep. Tante le attività proposte, laboratori scolastici ed extra scolastici «con l’obiettivo di rendere i ragazzi consapevoli delle loro capacità e superare la carenza di opportunità e favorire un approccio sullo sviluppo di comunità – evidenzia Irene Pastore di Cosep – Puntiamo sulla trasmissione di competenze e gli approfondimenti tematici: dal benessere online al contrasto agli stereotipi di genere alla multiculturalità e intercultura, al cyber bullismo, rivolti ai ragazzi ma anche agli adulti con incontri dedicati a genitori, insegnanti ed educatori». Molti i corsi espressivi, dai fumetti alla fotografia sociale, alla musica, all’informatica: «Puntiamo a rafforzare competenze, dare opportunità di accesso con corsi gratuiti in particolare artistici, spazi di dialogo e supporto psicologico e mediazione dei conflitti – continua Irene – Purtroppo il progetto, essendo ministeriale, non avrà continuità e per questo facciamo in modo che il nostro lavoro sia di integrazione con i servizi già presenti, inseriti in una programmazione sociale e politica. In generale manca un coordinamento integrato tra le varie proposte, ma grazie al supporto del Comune di Padova abbiamo cercato di armonizzare le azioni di “Impariamo a sognare” con quelle già presenti nel territorio». Sempre nella Città del Santo, Stefano Bragagnolo de La Bottega dei ragazzi racconta il progetto “Sottotraccia” realizzato per conto del Comune: «Il progetto è una risposta al disagio espresso dai giovani etichettati come baby gang. Abbiamo individuato nella musica un veicolo di espressione che consente di toccare tematiche significative per i giovani e che vuole ribaltare stereotipi di cui sono artefici e vittime allo stesso tempo: loro si raccontano in modo non aderente alla realtà quotidiana e costruiscono personaggi, poi però questa narrazione viene divulgata e creduta. Vivono la vita online e la vita offline in assoluta continuità per cui quello che succede nella vita reale ha ripercussioni sulla vita in internet senza soluzioni di continuità. C’è il bisogno, il desiderio, di far parte di qualcosa, di avere spazio di espressione. Le manifestazioni di disagio come risse, piccoli furti, vandalismi sono sempre successe ma fa la differenza il risalto che ne viene dato: tre secondi dopo sta sui social e questo ha una eco pazzesca rispetto a 10 anni fa. Segnali di un malessere che ridurre a baby gang è facile: etichetto e ne prendo le distanze. E infatti la distanza con le generazioni precedenti è abissale e non ci sono più libretti di istruzioni, tutto è nuovo per tutti e i ragazzi sono in prima linea. Sono esploratori». Anche per questo, l’associazione Ali di vita ha stilato Essere adolescenti oggi: manuale di sopravvivenza, «uno strumento necessario – riflette la presidente Loredana Borgato – per far incontrare due mondi e favorire il dialogo fra giovani, adulti e genitori in un periodo storico molto complesso nel quale l’adulto ha perso le sue funzioni protettive e di sostegno».