Un’Italia antieuropea è davvero possibile? A Strasburgo botta e risposta tra Popolari e Socialisti
Strasburgo. Parlamento europeo. Mentre i 705 deputati, dopo oltre dieci anni di voti e dibattiti, approvavano il caricabatterie unico per tutti i dispositivi elettronici entro la fine del 2024 (ed entro il 2026 anche per i computer portatili) martedì scorso i gruppi politici continuavano lo scontro in atto a livello continentale fin dalla chiusura delle urne nel nostro Paese, domenica 25 settembre.
«Siamo preoccupati per la situazione che si è creata in Italia – ha esordito Iraxe Garcia Perez, presidente dei Socialisti e democratici, gruppo europarlamentare di cui fa parte il Pd, nella conferenza stampa di martedì 4 ottobre – E non siamo preoccupati solo per il risultato, che evidentemente in Italia ha dato la vittoria a un partito politico di estrema destra, ma anche perché questo apre alla possibilità di un’alleanza in seno all’Unione europea tra forze conservatrici e questa stessa estrema destra, come avviene tra Forza Italia e Fratelli d’Italia».
Il timore della seconda forza politica più rappresentata nell’emiciclo continentale dunque è che, anche grazie all’appoggio del partito di Silvio Berlusconi, in Italia possa instaurarsi un governo oltre che di destra, anche antieuropeo. E che la dinamica in atto alle nostre latitudini possa ripetersi anche in altri Paesi dell’Unione.
L’accusa, per nulla velata, è che il Partito popolare europeo (tradotto in Forza Italia) possa prestarsi a rompere quel “cordone sanitario” generato all’inizio della legislatura per arginare la marea montante contro l’Unione. A stretto giro di posta, nella sala stampa intitolata alla giornalista maltese Daphne Caruana Galizia – di cui il 16 ottobre ricorrono i cinque anni dall’assassinio – il presidente del gruppo parlamentare del Ppe, Manfred Weber, ha dato una lettura del tutto differente della situazione: la democrazia italiana è solida, rispettiamo l’esito della consultazione popolare, da sempre Forza Italia ha rappresentato garanzia di europeismo in Italia, dove si respira un clima del tutto in favore dell’Ue, come testimonia, secondo Weber, lo scarso risultato ottenuto da Italexit di Gianluigi Paragone.
Assistere dal vivo a un tale dibattito, nella città in cui da sempre ha sede l’unico organismo legislativo dell’Unione Europea che viene eletto ogni cinque anni direttamente dai cittadini, provoca una sensazione di straniamento. E non parliamo semplicemente dell’europeismo storico che caratterizza il nostro Paese. Negli ultimi dodici anni, all’inizio con la crisi economica del 2008 e poi con la pandemia e infine con le delicatissime decisioni quotidiane sul fronte orientale dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Unione Europea ha fornito prove della sua estrema necessità di fronte a dinamiche globali.
Il celebre «what ever it takes» (a qualunque costo) con cui Mario Draghi ha salvato l’euro da presidente della Banca centrale europea ha fatto il paio con Next Generation Eu, tradotto da noi come Pnrr, che si propone di rilanciare i Paesi membri dopo la pandemia, ricorrendo anche al debito che per la prima volta 27 Stati nazionali hanno scelto di condividere. In mezzo c’è stata la lunga stagione dell’austerità, di cui la Grecia porta su di sé le peggiori conseguenze, ma occorre anche dire che nell’Unione sono presenti alcuni degli stati più indebitati al mondo, tra cui la nostra Italia.
La probabile futura premier Meloni ha sempre ribadito la collocazione europea e atlantica dell’Italia nella scorsa campagna elettorale. Una posizione di buon senso che, ragionando sui fatti, oggi non ha alternative reali. La guerra in Ucraina, ha detto ancora Weber, ci spinge a sviluppare uno dei pilastri rimasti inespressi nella costruzione europea: la difesa comune. Mentre la lotta al Covid 19 ha permesso di comprendere l’efficacia di un’azione congiunta dei 27 che ora sta dando forma all’Unione europea della salute, di cui sentiremo parlare.
L’Europa è un cantiere sempre in corso, come simboleggia lo stesso edificio del Parlamento qui a Strasburgo. Proseguirne la costruzione è compito dei politici, dei funzionari, ma soprattuto dei giornalisti.