Tempi duri per il Parlamento
La principale fonte di produzione normativa di livello “primario” è diventato ormai il Consiglio dei ministri
Il 30 maggio è stato solennemente ed efficacemente commemorato alla Camera l’ultimo, celebre discorso di Giacomo Matteotti, deputato e leader socialista che cent’anni prima con quel coraggioso intervento aveva firmato di fatto la propria condanna a morte, poi materialmente eseguita da una squadraccia fascista. Neanche due settimane dopo la stessa aula di Montecitorio è stata il teatro di un’inquietante rissa per la quale sono stati sanzionati undici deputati, in testa il leghista Igor Iezzi che ha ricevuto il massimo della pena, quindici giorni di sospensione. Il timore è che, purtroppo, le immagini dei tafferugli resteranno impresse nella memoria degli italiani molto più di quelle dell’attore Alessandro Preziosi che pochi giorni prima, dallo stesso scranno occupato un secolo fa da Matteotti, ne aveva magistralmente riproposto le illuminanti parole di denuncia contro il regime.
Tempi duri per il Parlamento. Quando nel 2020 si è tenuto il referendum sulla legge costituzionale che riduceva vistosamente i suoi membri, non tutti i favorevoli erano mossi da quei sentimenti anti-politici che pure trovavano molti seguaci a destra e a sinistra, in sintonia con il diffondersi del populismo. In tanti hanno creduto che quell’operazione, pur così drastica, avrebbe avviato un percorso da cui il Parlamento sarebbe uscito più efficiente e rappresentativo. Più forte, insomma. Per esempio ampliando e valorizzando i casi in cui le Camere si riuniscono in seduta comune. A ben vedere ce n’erano tutti i presupposti, se soltanto lo si fosse davvero voluto. Invece è accaduto il contrario.
La tendenza a svuotare progressivamente il ruolo del Parlamento a tutto vantaggio di quello del governo – a onor del vero già presente da anni – si è platealmente intensificata ed è diventata largamente dominante. E investe la stessa funzione essenziale delle Camere, quella di fare le leggi. La principale fonte di produzione normativa di livello “primario” è diventato ormai il Consiglio dei ministri che sforna continuamente decreti-legge con un’interpretazione molto estensiva dei criteri di necessità e urgenza necessari (secondo la Costituzione) per questo tipo di atti. Con il paradosso che poi gran parte dell’attività parlamentare è condizionata dall’impegno per convertire in legge di decreti. Anche per le leggi ordinarie, comunque, è il governo a dare le carte nella maggior parte dei casi. Dal monitoraggio del Servizio studi della Camera si ricava che, nella prima parte di questa legislatura, tra il 13 ottobre 2022 e il 13 maggio scorso, sono state approvate 118 leggi. In 51 casi si è trattato di conversione di decreti, in altri 36 di disegni di legge d’iniziativa governativa. Siamo ben oltre il 70%. Senza tener conto dei disegni di legge eventualmente promossi non dall’esecutivo come tale ma dai gruppi di maggioranza e del ricorso sempre più frequente alla delega legislativa al governo.
Numeri eloquenti ma lo è ancor di più il fatto che il Parlamento, in un momento in cui si discutono riforme che potrebbero cambiare il volto del nostro sistema istituzionale, è stato del tutto trascurato. Poteva e doveva essere l’occasione almeno per correggere le deviazioni a cui si è accennato. Invece le Camere risultano ulteriormente marginalizzate sia sul versante del premierato che su quello dell’autonomia differenziata.