Suicidio assistito. Gambino: “No a letture ‘estensive’ dei paletti fissati dalla Consulta e a fughe in avanti. Serve una legge coerente”
Ora anche "Antonio", tetraplegico di 44 anni, potrà accedere al suicidio assistito attraverso l’auto-somministrazione di un farmaco letale. Ieri il via libera della Commissione medica dell'Azienda sanitaria unica regionale delle Marche. Si tratta del secondo caso in Italia dopo quello, sempre nelle Marche, di "Mario", che ha posto fine alla propria vita lo scorso 16 giugno. Interpellato dal Sir, il presidente di Scienza & Vita e prorettore vicario dell’Università europea di Roma parla dei rischi derivanti da una interpretazione “estensiva” dei paletti stabiliti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato-Antoniani ed auspica una legge conforme a quella sentenza
Ora anche Antonio, nome di fantasia, tetraplegico di 44 anni, potrà accedere al suicidio medicalmente assistito attraverso l’auto-somministrazione di un farmaco letale. Ieri la Commissione medica dell’Azienda sanitaria unica regionale delle Marche ha dato il via libera per il farmaco da utilizzare nella procedura, il tiopentone sodico. Si tratta del secondo caso in Italia dopo quello, sempre nelle Marche, di Mario (Federico Carboni), anch’egli tetraplegico, che ha posto fine alla propria vita lo scorso 16 giugno. Netto il giudizio negativo di Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita e prorettore vicario dell’Università europea di Roma, che spiega al Sir i rischi derivanti da una interpretazione “estensiva” dei paletti stabiliti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato-Antoniani.
“Una vicenda diversa da quella della signora Elena, malata oncologica, ma non tenuta in vita da un sostegno vitale, e per questo recatasi in Svizzera – esordisce il giurista -. Nei casi di Antonio e Mario – e sono già due – sta passando l’idea che il tetraplegico possa avere i requisiti per accedere al suicidio assistito grazie ad una lettura ‘estensiva’ dell’accezione di sostegno vitale all’interno della quale vengono ricompresi anche situazioni curative e sostegni che sono più medici che non davvero ‘salvavita’”. Per Gambino,
“equiparare un tetraplegico a chi è in una fase terminale della propria vita nasconde una grave insidia: quella di far passare il messaggio culturale che le esistenze di tutti coloro che si trovano in una condizione irreversibile come un tetraplegico, ma non strettamente di fine vita, possano essere interpretate come non degne di essere vissute.
Un messaggio devastante perché si sta ‘estendendo’ l’interpretazione di un preciso requisito stabilito dalla Corte costituzionale che, correttamente inteso, fa riferimento ad una dipendenza da trattamenti di sostegno delle funzioni vitali, mentre ora si vogliono viceversa includere situazioni che potrebbero proseguire naturalmente il loro corso sulla terra per decenni”.
“Se è in atto un trattamento di sostegno delle funzioni vitali, e questo è un punto importante – sottolinea il giurista -, la sua interruzione provoca una morte repentina e quindi si procede con la sedazione profonda prevista in Italia già dalla legge 219/2017. Se invece si chiede di ricorrere all’auto-somministrazione di un farmaco letale vuol dire che non si sta interrompendo un sostegno vitale perché, se così fosse, la morte avverrebbe in tempi rapidissimi, sarebbe una contraddizione in termini. Il farmaco letale serve, invece, proprio per anticipare ciò che naturalmente non si verificherebbe”. Per Gambino, la logica della legge 219/2017, che consente la sedazione nel momento del distacco dai sostegni vitali, “viene capovolta” e si preferisce “provocare la morte somministrando un farmaco letale, ma questo non è lo spirito della sentenza della Consulta che, per quanto non condivisibile su alcuni punti, aveva tuttavia fissato dei paletti”.
Secondo il giurista, proseguire sulla strada aperta nelle Marche porterebbe a “non avere più argini. Il caso singolo può infatti essere ripetuto nel tempo come prassi e protocollo sanitario perché diventa un modello, anche culturale. Dietro questo tipo di decisioni, in questo caso di una Asl, c’è l’idea, culturalmente non accettabile, che chi è oggi in una condizione di disabilità cronica possa essere equiparato a chi ha una malattia terminale.
Con il rischio che un domani una persona tetraplegica o in una condizione di disabilità grave – considerate situazioni non degne di essere vissute – potrebbe sentirsi quasi in dovere sociale di togliere il disturbo e farsi da parte”.
Gambino è convinto della necessità di una legge in materia, ma diversa dal testo approvato lo scorso marzo alla Camera e che ormai non vedrà più la luce. “Un testo, così com’è, inaccettabile ed insidioso, che estende anche ai disabili la possibilità di ricorrere al suicidio assistito. Mentre la sentenza della Corte costituzionale parla solo di malattie irreversibili, il ddl parlava anche di ‘condizioni irreversibili’, e l’essere tetraplegico lo è, andando ben oltre la Corte”. “Ritengo una legge indispensabile – sostiene -, perché altrimenti avremo uno stillicidio di casi e si segnerà un tracciato attraverso decisioni giurisprudenziali che normalmente vanno oltre quanto affermato dalla Consulta.
Auspico una legge in fortissima coerenza con quanto affermato dalla Corte costituzionale in una sentenza che personalmente non condivido, ma che mi rendo conto essere ormai entrata nel nostro statuto legislativo.
Prendo atto di questo e ritengo che una legge in materia dovrà conformarsi, senza deviazioni, alla decisione della Consulta”.