“Scusi, mio figlio è in Croazia, può tornare a casa?”. I sì, no e però delle Regioni italiane
Spagna, Croazia, Grecia, Malta, Romania... I connazionali che tornano da questi Paesi devono giustamente sottoporsi a tamponi o quarantena perché i contagi sono in aumento. Ma le domande sul come, dove e perché si accavallano se si va a fondo. Qui l’odissea di una famiglia italiana preoccupata per il rientro di un figlio
Sono migliaia gli italiani attualmente all’estero, principalmente per turismo ma anche per lavoro, che dovranno rientrare in Italia. Non pochi connazionali si trovano in Paesi recentemente interessati da nuove misure precauzionali anti-Covid (Spagna, Croazia, Grecia, Malta, Romania…). Per costoro il ritorno potrebbe essere problematico, soprattutto se si considerano le notizie riguardanti i contagi, in netta risalita. Si teme che l’arrivo di molti italiani provenienti da Paesi dove il coronavirus è fuori controllo potrebbe portare un ulteriore aumento dei casi. Cosa comportarsi allora? Come agire per contrastare la pandemia? Il Sistema sanitario nazionale è allertato? E le Regioni che ruolo hanno? Ecco – nell’articolo-testimonianza che segue – cosa succede a chi prova a capire come muoversi. Il nome è inventato, ma la storia è vera e le telefonate riferite sono di oggi, 14 agosto.
“Pronto? Buongiorno, sono Mario Rossi, chiamo da Milano, avrei bisogno di alcuni chiarimenti in merito al rientro di italiani dall’estero…”. Comincia così una chiamata al 116117, “numero unico nazionale per richiedere assistenza, prestazioni o consigli sanitari”. Se in questi giorni si ha un figlio in Croazia, raggiunta in auto assieme ad alcuni amici per vacanza, qualche preoccupazione insorge. Potrà rientrare in Italia? Dovrà fare il tempone? E con la quarantena come la mettiamo? Stando chiuso in casa si mangerà 14 giorni di ferie oppure l’assenza dal lavoro sarà riconosciuta come malattia?
Gli interrogativi si accavallano, la preoccupazione cresce. A maggior ragione ci si trova in ambasce dato che il giovanotto dovrebbe rientrare in Italia il 17 agosto per ripartire (avendo da tempo acquistato il biglietto aereo da Malpensa) in direzione Bari il giorno successivo, 18 agosto.
Dunque la telefonata con il numero verde. “Guardi, il tampone è obbligatorio – dice, garbatamente ma perentoriamente, la voce all’altro capo del filo – e lo deve fare entro 48 ore. Ma siccome al momento ci sono lunghe attese per farlo, dovrà attendere in quarantena obbligatoria al proprio domicilio”.
“Per quanti giorni dovrà attendere?” – mi pare logico domandare. “Non lo sappiamo”, l’infelice risposta. “Comunque adesso le do un numero di Milano, dove può chiedere ulteriori spiegazioni: 0236693…”.
Riprendo: “E se mio figlio riuscisse a fare il tampone in Croazia?”. Mi si spiega che se il tampone è eseguito all’estero entro 72 ore dal ritorno in Italia, e dà esito negativo, allora il ragazzo potrà rientrare senza problemi e anche muoversi sul territorio italiano. “Ma – obietto – mio figlio sta trovando difficoltà per avere il tampone in Croazia. Anche la direzione del villaggio turistico lo sta aiutando, assieme ad altre decine di clienti italiani, per avere chiarimenti. La gente là si sente un po’ abbandonata…”. La voce del 116117 torna a farsi materna: “Capisco, sono molti i turisti italiani in difficoltà”. Poi slitta in matrigna: “Del resto non so che farci”.
La telefonata si ferma qui.
Ecco allora un’altra soluzione. Prendere un traghetto dalla Croazia verso Ancona, saltando la tappa lombarda e rinunciando al volo aereo, così da raggiungere in macchina la provincia di Taranto, dove lo attende la famiglia in ferie.
Faccio lo 080.3373, “numero verde informazioni sul coronavirus – Regione Puglia”. “Buongiorno…”. E rispiego la faccenda. La risposta: “Guardi se il giovane arriva in Puglia deve autodenunciarsi tramite l’apposito sito. Dovrà stare 72 ore in quarantena al domicilio cui è diretto. Poi l’azienda sanitaria locale eseguirà, a campione, il tampone. Tenga presente che dalla Croazia alla Puglia dovrà scrivere un diario di viaggio, che specifichi i luoghi di transito, i mezzi eventualmente utilizzati, le soste, le persone con cui è venuto a contatto”. Strabuzzo gli occhi: non tutti sono viaggiatori-letterati. Domando: “Cosa significa che il tampone è a campione? Che potrebbero non farglielo? Mi sembra una cosa strana”. L’ulteriore risposta non è riportabile: esula dal garbo.
Infine, la perla di saggezza (in barba alle pro-loco). Mi si chiede: “Scusi, dove è diretto suo figlio?”. Spiego: “Provincia di Taranto”. “Provincia di Taranto? Allora dica a suo figlio di lasciar stare e di rimanere a Milano”.
Cade la linea, assieme alle mie braccia.
E mi chiedo: l’Italia è forse una Confederazione di Regioni autonome? Ristudierò la Costituzione…