Scoprire i tesori dentro di noi. In un libro di Cheaib la grande forza della parabola, quella di ieri e anche di oggi
A questo servono le parabole, quelle evangeliche e quelle del nostro oggi: a guardare al presente, all’oggi sapendo quali scogli e quali intralci possiamo incontrare, ma senza farci schiacciare dall’ansia
Le favole dentro di noi sono il richiamo, proveniente da Neruda, che Robert Cheaib, scrittore, docente e membro del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, pone in apertura del suo libro “Guarire con le parabole. Dinamiche della vita spirituale” (Città Nuova, 152 pagine, 15,90 euro). Perché una favola è etimologicamente un raccontare all’altro e nel contempo un colloquio costante con se stessi. Favole in senso negativo di racconto non veritiero potrebbero sembrare a chi non crede le parole delle Scritture, i Vangeli, le omelie, le parole degli uomini di fede. Se non fosse che un’altra parola che viene stavolta dal greco, mito, dallo stesso significato di racconto, ci mette di fronte, credenti e no, alla verità fondante di parole che assorbono linfa dalle origini e ce le narrano secondo le possibilità del tempo.
L’Odissea ci dice molto sulla nostalgia di chi, partito per la guerra, cova nel proprio cuore; esattamente come più di mille anni dopo quel termine, che significa “dolore per il ritorno”, diverrà d’uso comune in uno studio di fine Settecento sulla malinconia dei mercenari di non poter tornare nella propria patria.
Ma c’è anche una nostalgia d’eterno che può essere narrata attraverso le parabole, celate, scrive Cheaib, nell’abitudine, nell’indifferenza, nella lotta quotidiana per la sopravvivenza non solo materiale. Le parabole ci rivelano il mito nascosto dentro di noi, perché nel nostro cercare altrove dimentichiamo che anche le nostre esperienze, comprese le cadute (un bel libro dello psicoterapeuta Massimo Scialpi, “La crepa” -Fuorilinea editore- ci dice quanto sia importante la caduta nella nostra vita) sono tappe di un’altra, ulteriore odissea privata che può aiutare l’altro, e noi stessi.
Anche perché, e fa bene l’autore a ricordarlo, John Henry Newman scriveva che “Dio fa cose grandi con metodi ordinari”. Scordiamoci per un attimo gli effetti speciali degli antichi film biblici e andiamo alla ricerca del nostro tempo perduto, ma senza nostalgie paralizzanti, per trovare i tesori che sono stati disseminati nella nostra strada. A questo servono le parabole, quelle evangeliche e quelle del nostro oggi: a guardare al presente, all’oggi sapendo quali scogli e quali intralci possiamo incontrare, ma senza farci schiacciare dall’ansia, perché, come Matteo ci ricorda, “a ciascun giorno basta la sua pena”.
Anche perché Cheaib ci mette di fronte ad altre contraddizioni, e non solo le nostre. Quelle del pianeta ateismo, ad esempio, che un tempo si appoggiava alla scienza per combattere la presunta superstizione della fede, e che ora deve fare i conti con le origini del tutto, perché la scienza medesima ci sta narrando che la materia non c’era qualche miliardo di anni fa, e da qualche causa deve provenire.
Un libro che ci spinge, anche attraverso nuove e vecchie parabole e la preghiera, ad andare avanti, senza mai fermarci o far diventare assoluto un desiderio personale, perché come aveva narrato Somerset Maugham in “Acque morte” (ricordato anche da Daria Bignardi in “Libri che mi hanno rovinato la vita”, -il titolo è ironico-, Einaudi) non è detto che sia un bene raggiungere i sogni nel qui e nell’ora. Semmai la tecnica dell’ostrica che tramuta in perla i pericoli, ricorda lo scrittore, è quella da seguire, perché non si può pensare ad una vita tutta rose e fiori.
E l’ostacolo può diventare un insegnamento, può farci scoprire delle forze che non pensavamo di possedere. Non possiamo spendere tutto il nostro tempo ad aspettare qualcosa sulla quale ci siamo fissati. Aiutiamo questo tempo a scorrere nel nostro presente attraverso anche la scoperta del tesoro che si nasconde in noi, e noi non lo sapevamo.