Ribellarsi alle pubblicità che promuovono il concetto di "donna oggetto". L'invito di un lettore
La lettera di Armando Gennaro, lettore della Difesa del Popolo: "Sono convinto che un pesante contributo alla cultura della “donna oggetto” venga dalla pubblicità, dall’insieme di tutti quegli spot e immagini in cui il corpo della donna è strumentalizzato per propagandare le cose più disparate che, quasi sempre, nulla hanno a che fare con il corpo della donna".
Caro Direttore,
mercoledì 25 novembre “celebreremo” l’ennesima giornata di impegno contro la violenza sulle donne. Come tutte le “giornate” c’è una bivalenza ambigua: è l’occasione per riflettere su una questione importante (in questo senso, quando ero in servizio e mi capitava di far lezione in questo giorno, non lo lasciavo passare sotto silenzio e, in particolare, invitavo i miei studenti di Ingegneria a farsi carico di questo problema perché “se non se ne fanno carico i giovani, che sono chiamati a d essere la struttura portante della società, non c’è speranza”), ma, quasi sempre, l’indomani tutto ritorna come se niente fosse avvenuto.
L’origine di questo drammatico problema (durante il lockdown di primavera è stata uccisa, in Italia, una donna ogni due giorni, quasi sempre in ambito familiare) è fondamentalmente di natura culturale. È la cultura che considera la donna come un oggetto di piacere (sessuale) che porta, purtroppo molti, uomini a usare violenza, finanche il femminicidio, quando questo “oggetto” non è più disponibile. Qui la scuola e tutte le agenzie educative (anche i nostri gruppi parrocchiali, la catechesi di Iniziazione Cristiana) hanno un ruolo essenziale ed irrinunciabile.
Ma ritengo necessario cercare di andare più in profondità, più alla radice del problema culturale. Sono convinto che un pesante contributo alla cultura della “donna oggetto” venga dalla pubblicità, dall’insieme di tutti quegli spot e immagini in cui il corpo della donna è strumentalizzato per propagandare le cose più disparate che, quasi sempre, nulla hanno a che fare con il corpo della donna. Questo uso “improprio” e strumentale del corpo delle donne instilla, lentamente ma profondamente, l’idea che la sua funzione sia proprio questa: un oggetto di compiacimento, di piacere, di divertimento. Un oggetto che si può comprare (penso all’abominio di chi mercifica il corpo delle donne, da sfruttatore o da “cliente”), un oggetto che si può comunque possedere e fare di tutto pur di non perderne il possesso.
Credo che sia ora di ribellarci a questa cultura del possesso e a tutte le forme di pubblicità che seminano questa idea. C’è un modo molto semplice: basta non comprare alcun prodotto che sfrutti il corpo della donna per la sua pubblicità.
Cordiali saluti.
Armando Gennaro