Regno Unito: Enchelmaier (Un. Oxford), “con Brexit la nostra economia è una gomma della bici che si sta sgonfiando”
Il docente di Diritto romano e comparato del prestigioso ateneo britannico descrive la realtà del suo Paese dopo il divorzio dall'Unione europea. Lo fa a partire dalle condizioni di vita e di lavoro dei professori universitari. Il partito conservatore, al potere, non è in grado di ammettere l'errore del referendum sulla Brexit, "né il partito laburista è disposto a riaprire questo vaso di Pandora che divide il Paese a metà"
Il professor Stefan Enchelmaier, docente di Diritto romano e comparato all’Università di Oxford, è appena tornato da una vacanza sulle isole greche e si ritiene molto fortunato. “Molti dei miei colleghi, quest’anno, sono rimasti a casa perché l’aumento dell’interesse sul costo dei mutui, dovuto alla disastrosa politica finanziaria dell’ex premier Liz Truss, li mette a rischio di finire nei debiti e potrebbe costringerli a vendere la casa”. Con il docente approfondiamo la questione…
Il declino, negli standard di vita, dei professori universitari è una situazione diffusa anche in altri atenei?
Certo. A Oxford siamo molto privilegiati perché la nostra è un’università ricca, con tante proprietà, che garantisce ai suoi professori uno stipendio; mentre, negli atenei meno noti, i docenti sono alla costante ricerca di fondi per autofinanziarsi. Il governo ha fissato un limite di 9.250 sterline all’anno, oltre 10.800 euro, per le tasse che gli studenti britannici devono pagare, una somma ferma da dieci anni e non sufficiente a coprire tutti i costi di un’università.
Che impatto ha avuto la Brexit su questa situazione?
Disastroso. Le università britanniche hanno perso miliardi di fondi per la ricerca provenienti dai programmi europei. Non solo. Gli studenti europei che vogliono venire nel Regno Unito sono diminuiti perché, prima della Brexit pagavano le stesse tasse dei britannici e, adesso, devono sborsare oltre 22.000 sterline, quasi 26,000 euro all’anno.
Siamo costretti a dipendere dagli studenti asiatici, cinesi soprattutto,
che, spesso, sono riuniti in società che non hanno a cuore la libertà di parola e protestano quando, in una conferenza o un convegno, mettiamo un punto di domanda sui diritti umani in Cina.
La difficile situazione degli atenei sembra rientrare in un quadro più ampio di danni economici provocati dalla Brexit. È d’accordo?
Senza dubbio. Definirei l’economia del Regno Unito, dopo l’uscita dalla Ue, come la gomma di una bicicletta che si sta sgonfiando lentamente. Il nostro Pil è ancora al di sotto dei livelli pre pandemici e destinato a scendere ulteriormente. Le piccole e medie aziende, il motore di un’economia, non commerciano più con l’Europa perché non sono in grado di accollarsi i costi delle formalità burocratiche. Benché i governi Tory abbiano promesso di chiudere le frontiere,
le statistiche ci dicono che i livelli di immigrazione sono aumentati nel post Brexit.
Ma, ad arrivare, invece della manodopera qualificata europea, sono persone non utili al mercato del lavoro. Siamo tornati indietro di decenni, a quando dovevi aspettare settimane per trovare un idraulico disponibile. I lavoratori, dai medici ai conducenti dei treni, dai postini agli insegnanti, sanno di essere indispensabili. Il loro stipendio non è stato aumentato dal 2008, danneggiato per anni dall’inflazione, e scendono in sciopero, come non succedeva dagli anni Settanta, prima che la Thatcher distruggesse il potere dei sindacati. Le ragioni del declino economico britannico sono anche più profonde della Brexit, ma i politici che hanno portato la Gran Bretagna fuori dalla Ue hanno mentito dando la colpa all’Unione europea.
Vede una possibilità che il Regno Unito rientri in Europa?
Nonostante sia un grande amante della Ue, e vorrei che questo avvenisse, non penso proprio che succederà nei prossimi anni. La Ue non è certo disposta a concedere alla Gran Bretagna tutte le eccezioni pre Brexit, sconti sui contributi al budget europeo, non partecipazione all’euro e alla legislazione sulla giustizia criminale.
Farlo vorrebbe dire che qualunque Paese può entrare e uscire dall’Europa come vuole.
D’altra parte il partito Tory non può ammettere di aver commesso un gravissimo errore, con il referendum del 23 giugno 2016, perché almeno un terzo dei suoi membri sono fanatici euroscettici. Né il partito laburista è disposto a riaprire questo vaso di Pandora che divide il Paese a metà. Per non parlare del fatto che esiste molta ignoranza, nel Regno Unito, su che cosa sia veramente la Ue e, quando si parla di lasciare o rientrare in Europa, molti non sanno di che cosa stanno parlando.