Pastorale digitale? L’intelligenza artificiale entra nella quotidianità. Che dice la Chiesa? Scrive don Lorenzo Voltolin
La tentazione di creare una nuova dicotomia: la macchina “contro” l’uomo. La Chiesa è chiamata a valorizzare i computer armonizzati con il sistema umano. La programmazione di sistemi avanzati non può rimanere una competenza tecnica, deve servire a trasmettere il Vangelo
Nel contesto della crescente digitalizzazione, la Chiesa, come soggetto agente e agito nella e dalla storia, non può esimersi dal confronto con i linguaggi digitali e, in questo ultimo frangente, anche con l’intelligenza artificiale (IA). Tra i tanti contributi, rinvenibili a differenti livelli di approfondimento, emerge la riflessione di papa Francesco sulla sinergia tra pastorale e digitale. Nel suo messaggio per la 58ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, del 24 gennaio 2024, il papa, consapevole della portata e dell’impatto delle comunicazioni digitali, delinea un approccio incisivo incentrato sulla connessione umana, sulla speranza e sulla verità, costituendo un corpus di riflessioni che meritano un’approfondita analisi. Iniziando con il riconoscimento della ricchezza umana presente nel digitale, papa Francesco adotta un linguaggio che trascende la mera percezione del digitale come un’entità strumentale. Citando Romano Guardini, egli afferma che «si tratta, è vero, di problemi di natura tecnica, scientifica, politica; ma essi non possono essere risolti se non procedendo dall’uomo. Deve formarsi un nuovo tipo umano dotato di una più profonda spiritualità, di una libertà e di una interiorità nuova» (n. 1). Questa dichiarazione non solo sottolinea l’umanità intrinseca nell’ambiente digitale, ma pone anche le basi per una riflessione sulla responsabilità della Chiesa nel definire la necessità che il digitale venga posto “sotto la cura” di uno sguardo spirituale. Il papa prosegue evidenziando gli elementi di opportunità come anche i pericoli insiti nella nuova tecnologia e nell’uso che se ne può fare. Le macchine, che possono oggi apprendere, machine learning, offrono altissimi potenziali; perciò possono essere un ausilio prestazionale allo sviluppo dell’umanesimo. Tuttavia, una comprensione riduttiva delle stesse potrebbe far scivolare verso una deriva che intende l’integrazione umano/macchina come una sostituzione, un superamento della macchina sull’umano. Il punto sul quale fare leva è evidenziato dal fatto che i calcolatori oggi riescono ad apprendere e a processare un numero indefinibile di dati, di molto superiore alle capacità di analisi dell’umano. Tuttavia, va ricordato che l’uomo non è solo un semplice calcolatore o una “strumentazione” ad alto potenziale logico; piuttosto la sua dignità e la sua statura ontologica non possono ridursi al solo fatto che egli sappia ordinare una serie di conoscenze. Pertanto, l’umano, in forza del suo corpo agente si viene a trovare sempre in situazione: egli sente e vive, percepisce e si adatta, è un concreto vivente, un corpo soggetto, che in ogni istante pone in connessione il suo mondo interno con l’esterno comune agli altri enti. L’ampiezza e la complessità dell’umano differiscono dalla linearità dei contenuti delle macchine, la profondità del suo essere immerso in una realtà definisce la grandezza e l’unicità dello statuto dell’umano e il suo ineguagliabile esercizio di sintesi, appunto di coscienza, che gli permette di adattarsi, ancor più di stare/ essere in situazione. La macchina, anche se altamente specializzata e con potenziali prestazionali elevati, non può in nessun modo adottare questa postura nei confronti del mondo, questo principio d’incarnazione. Prova ne è che le macchine, le intelligenze artificiali – meglio definirle al plurale per distinguerle dalla singolarità dell’intelligenza umana – pur impressionando per le capacità di raccolta, di selezione e di organizzazione dei dati, non riescono a fare quelle cose semplici legate alla vita, all’esserci, che già riesce a compiere un bambino infante: le macchine non riescono naturalmente a parlare, sono addestrate con una voce digitale per rispondere in base ai contenuti delle nostre risposte che vengono codificate e decodificate in/da algoritmi, ma esse non possono vedere lo sguardo, avvertire il tono della voce, sentire il pathos della persona, ovvero collocarsi in una situazione con tutto ciò che queste semplici parole possono voler dire… L’uomo fa tutto ciò naturalmente, dal primo giorno della sua esistenza e senza ricevere particolari istruzioni. Riprendendo l’antico adagio e adattandolo al nuovo contesto, verrebbe da dire che l’uomo è una “macchina sociale”. Tutto ciò accade per il semplice fatto, ma non banale, che le macchine non sono esseri viventi, tantomeno sono esseri umani. Per umanità dobbiamo intendere non solo il concetto astratto o il valore intrinseco di umanità, ma partire anzitutto da un’evidenza: cioè che l’uomo ha un corpo umano, ed è questo corpo che gli permette di essere pensante, volente e anche spirituale. In tal senso, papa Francesco ribadisce anche nel messaggio per la 57ª Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2024, che l’esperienza cristiana ha molto da offrire al fine di un’umanizzazione delle macchine e per una valorizzazione ordinata delle intelligenze e dell’intelligenza umana. Sarebbe uno sbaglio cadere in una nuova sorta di dicotomia che contrappone l’uomo alla macchina, l’intelligenza alle intelligenze artificiali. In tal senso, l’esercizio della pastorale ordinaria non può ridursi al solo utilizzo strumentale delle nuove tecnologie o demandarne lo studio a chi ne ha le competenze tecnico-scientifiche, piuttosto compito della prassi della Chiesa è la formazione alla valorizzazione di una macchina tecnologica che s’intrecci e si armonizzi con il sistema umano.
Ancora, la relazione tra corpo umano e IA va riletta alla luce della polarità di Romano Guardini sul rapporto tra forma e contenuto. Guardini sottolinea che la forma veicola e dà vita al contenuto, similmente al ruolo del corpo umano nel permettere ai contenuti dell’intelligenza di manifestarsi. Di converso, l’IA, priva di un corpo, si esprime attraverso codici e algoritmi. Questo contrasto evidenzia la necessità di considerare l’IA come uno strumento al servizio dell’uomo, integrandolo con saggezza nella cosiddetta pastorale digitale. Sul versante dell’utilizzo di questi strumenti nella pastorale ordinaria, si deve considerare che, come la programmazione per mezzo di linguaggi come JavaScript e Python è cruciale per la creazione di interazioni avanzate, così questi strumenti possono amplificare la diffusione del messaggio pastorale attraverso piattaforme digitali. Tuttavia, la programmazione non dovrebbe essere vista solo come una competenza tecnica, piuttosto come un mezzo per trasmettere valori e principi spirituali attraverso il linguaggio digitale. Le peculiarità dei linguaggi digitali risiedono nella loro struttura formale e logica; essi, a differenza del linguaggio umano caratterizzato da sfumature e polisemie, richiedono precisione e coerenza. Tuttavia, l’umano può utilizzare tali strumenti per veicolare il messaggio pastorale in modo efficace. Questa sfida implica la necessità di un dialogo costante tra esperti tecnici e operatori pastorali, unendo competenze complementari per concorrere alla trasmissione della buona notizia.
don Lorenzo Voltolin
Docente di Teologia Sistematica alla Facoltà Teologica del Triveneto, tiene il seminario sui linguaggi digitali all’Istituto Superiore di Scienze religiose di Padova. assistente presso il Centro di Spiritualità Scout di Carceri