Nota politica. Una sentenza risolutiva
La sentenza n. 37 della Corte costituzionale ha fornito un importante chiarimento su due questioni che hanno tenuto banco in un anno di lotta al Covid-19.
La sentenza n. 37 della Corte costituzionale ha fornito un importante chiarimento su due questioni che hanno tenuto banco in un anno di lotta al Covid-19, creando non pochi problemi nell’elaborazione e nella gestione operativa delle misure di contrasto e suscitando un notevole disorientamento nell’opinione pubblica: il rapporto tra Stato e Regioni e l’utilizzo degli ormai famosi dpcm.
La prima questione è stata affrontata direttamente dalla Consulta perché l’oggetto specifico del giudizio era una legge regionale della Valle d’Aosta. La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune norme che avevano introdotto regole difformi dalla legislazione nazionale anti-pandemia. Il dispositivo – cioè il nocciolo della decisione – era già noto perché secondo la prassi era stato anticipato in un comunicato. Con il deposito della sentenza, però, i giudici costituzionali hanno reso disponibile l’intero complesso di motivazioni che sono all’origine della dichiarazione di illegittimità, fondata soprattutto sul secondo comma dell’articolo 117 della Carta, laddove la “profilassi internazionale” viene elencata nelle materie in cui la legislazione statale ha competenza esclusiva. Le argomentazioni sono stringenti e non lasciano margini di ambiguità: la lotta alla pandemia è compito dello Stato e le Regioni hanno soltanto la competenza amministrativa che viene loro riconosciuta dalla legge nazionale, non da autonome attribuzioni costituzionali, fermo restando il dovere di “leale collaborazione” tra istituzioni.
Ma dalle argomentazioni della Consulta emerge anche, sia pure indirettamente, che l’uso che è stato fatto in questi mesi dei decreti del presidente del Consiglio dei ministri – i dpcm – è compatibile con il quadro tracciato dalla Costituzione. Una puntualizzazione che taglia le gambe alle polemiche politiche che avevano addirittura portato ad accusare il precedente governo, e in particolare l’allora premier Giuseppe Conte, di aver compiuto scelte antidemocratiche abusando dei suoi poteri. I dpcm, che sono atti amministrativi, sono stati emessi sulla base di decreti-legge proprio perché la Carta riserva alle norme di rango primario (leggi o atti equivalenti) la possibilità di porre limiti ad alcuni diritti costituzionali per motivi di sicurezza o di salute pubblica. Il governo Draghi ha finora adottato un dpcm e poi un decreto-legge. C’è da augurarsi che l’andamento della pandemia nei prossimi mesi consenta una produzione normativa meno convulsa rispetto al passato, ma non è accettabile descrivere quel che è accaduto finora come una sorta di colpo di Stato strisciante, come pure è stato fatto per fini di propaganda politica. Anche per questo motivo, nel momento in cui ai cittadini sono richiesti ulteriori sacrifici, dal chiarimento giuridico doverosamente operato dalla Corte costituzionale si può ricavare un contributo prezioso alla coesione nazionale in quella che si spera possa essere la battaglia finale contro il virus.