Nota politica. Una doppia prospettiva
L'epoca della pandemia esige dalla politica un doppio passo o, se si preferisce, una doppia prospettiva.
L’epoca della pandemia esige dalla politica un doppio passo o, se si preferisce, una doppia prospettiva. Richiede la capacità di affrontare concretamente e tempestivamente i problemi del presente e allo stesso tempo uno sguardo lungo per progettare un “dopo” che non potrà essere uguale al “prima”. Si potrebbe osservare, non a torto, che questa polarità appartiene all’essenza stessa della politica. Ma la stagione del Covid l’ha estremizzata, sovrapponendo la gestione di una quotidianità emergenziale dai risvolti inediti e spesso (non sempre) imprevedibili alla progettazione di un futuro che è stato ripetutamente paragonato per vastità e profondità alla ricostruzione post-bellica.
I due momenti non sono cronologicamente distinguibili in modo netto. La loro sovrapposizione finirà soltanto quando i vaccini avranno spuntato le armi del virus in tutto il mondo, non solo nei Paesi più ricchi. Perché ormai avremmo dovuto imparare che con la pandemia non è possibile stipulare paci separate. L’illusione di poter proteggere soltanto la popolazione del proprio Paese, che ha preso a circolare come una sorta di variante sanitaria del sovranismo, è destinata a infrangersi sulla realtà di un mondo in cui le interdipendenze sono ineludibili.
La sovrapposizione tra l’emergenza e la ricostruzione descrive una condizione in cui si trovano a operare praticamente tutti i governi democratici e in cui si trova pienamente immerso anche l’esecutivo guidato da Mario Draghi. Il presidente del Consiglio ha schierato una squadra di esperti di gran livello per la messa a punto definitiva del piano nazionale finanziato con i fondi europei, da cui dipende in buona misura il futuro del sistema Italia. E’ su questo terreno che il premier porta in dote una competenza e una statura internazionale che possono veramente consentire lo scatto in avanti necessario. Allo stesso tempo, però, egli deve far fronte all’emergenza sanitaria ed economico-sociale, che ha colpito duramente soprattutto le fasce della popolazione più fragili, meno protette, e che impone misure immediate e costantemente rimodulate, come abbiamo già sperimentato in questi mesi. Non siamo all’anno zero e il nuovo premier, pur intervenendo con alcune scelte mirate in ruoli cruciali, non ha commesso l’errore di rinnegare e cancellare con un tratto di penna quanto di buono è stato fatto dall’esecutivo precedente. E non è poco.
Il governo oggi può contare anche su una minore conflittualità delle Regioni. Non soltanto perché la Corte costituzionale ha definitivamente chiarito che le misure anti-pandemia competono allo Stato, ma anche – e forse soprattutto – perché il grosso delle forze che controllano i tre quarti delle Regioni oggi non è più all’opposizione. Ma “la rincorsa a illusori vantaggi di parte” – per citare il capo dello Stato nel discorso dello scorso anno all’assemblea dei Comuni – è una tentazione che non è venuta meno anche dentro la maggioranza che sostiene Draghi. Ed è una delle più sottili insidie da cui deve guardarsi il premier.