Morte Ennio Morricone. Frisina: “Era un grande musicista italiano e romano”
Mons. Marco Frisina, direttore del Coro della diocesi di Roma e compositore, traccia per il Sir un ritratto del maestro Ennio Morricone, morto a 91 per le conseguenze di una caduta. La storia di un'amicizia trentennale nata all'insegna della stima reciproca. E di una comune eredità: la tradizione della scuola romana
“Burbero e intrattabile quando faceva musica, ma anche capace di grandi tenerezze”. E’ il ritratto di Ennio Morricone, morto a Roma a 91 anni per le conseguenze di una caduta, tracciato da mons. Marco Frisina, direttore del Coro della diocesi di Roma e compositore, legato a lui da una grande amicizia e dalla reciproca stima professionale. “Un grande musicista italiano, che si sentiva erede della tradizione romana”, prosegue Frisina: “Sua moglie Maria ha sempre detto: quando non potrà più fare musica muore”.
Chi perdiamo oggi?
Un grande musicista italiano. Perché lui era italiano nello stile, nel linguaggio, nella tradizione e ci teneva ad esserlo. E’ stato un figlio del Novecento, un maestro della modernità. Come ha detto il presidente Mattarella, è riuscito a mettere insieme la musica popolare e la musica colta, dalla canzone di Vianello alla Messa per Papa Francesco. La sua era una romanità verace: si sentiva un erede della scuola romana.
Era un uomo rigorosissimo: burbero e intrattabile quando faceva musica, ma anche capace di grandi tenerezze, con le contraddizioni tipiche di un uomo geniale.
Nelle sue apparizioni in pubblico, ciò che colpiva era la sua riservatezza e la sua umiltà…
Lui parlava in romanesco e diceva: “L’unica cosa che ssò fà è scrive musica”. Era perfettamente a suo agio quando era in sala di registrazione, faceva le prove o dirigeva un’orchestra. Altrove era sempre in imbarazzo, era schivo, scappava. La musica era tutto il suo mondo: basti pensare che ha firmato la colonna sonora di più di 500 film.
La vostra è stata una lunga amicizia: come è nata?
La prima volta che l’ho incontrato è stato ad un concerto di musica classica, c’era in programma un brano mio e uno suo. Era il 1990, avevo 35 anni e lui era già una leggenda. “Bel pezzo”, mi disse. Poi quando la Lux ha ideato il progetto per la Bibbia in tv, io ero consulente e chiesero a me di proporre a Morricone di comporre le musiche. Io andai da lui e lo incontrai in un’altra veste. E’ stata una grande emozione: mi ha permesso di entrare nella stanza chiusa a chiave dove scriveva, il suo sancta sanctorum.
Da allora è nato un rapporto padre-figlio e di stima.
Lui non poteva fare la colonna sonora perché aveva un altro impegno, e così è toccata a me. Subito dopo la messa in onda, mi telefonò e mi disse: “Co’ tutta quella musica ci potevi fare tre film”. Ci sentivamo anche per problemi personali, e nel 2016 gli ho proposto di dirigere insieme il “Concerto con i poveri e per i poveri” in Aula Paolo VI. Accettò subito, anche se stava già male, abbiamo dovuto rimandare per i suoi problemi alla schiena.
Conservo una foto di quel giorno che ancora mi emoziona: era emozionato, l’ho visto felice.
Gli avevo fatto preparare uno sgabellone per farlo sedere, ma non l’ha mai usato, nonostante l’operazione alla schiena recentissima. Si trasformava, con la musica.
La dedica alla moglie Maria, in occasione dell’Oscar 2016, è rimasta nel cuore di tutti.
Quella dedica era piena della sua tenerezza. Aveva una moglie, quattro figli. Una vita difficile, perché è complicato per gli altri membri della famiglia rapportarsi con personalità di questo genere, che a volte possono perfino risultare ingombranti. Per lui la famiglia era un nido, anche se poi stava più fuori che con loro, o chiuso a scrivere o lontano per i concerti.
Sua moglie Maria ha sempre detto: “quando non potrà più fare musica muore”. E così è successo.
Da Sergio Leone a Quentin Tarantino, passando per Giuseppe Tornatore, solo per fare alcuni nomi. Morricone ha saputo declinare la sua arte spaziando per generi molto diversi tra di loro, ma sempre nel segno del dialogo. E’ un esempio anche per l’oggi?
Da Sergio Leone a Quentin Tarantino, passando per Giuseppe Tornatore, solo per fare alcuni nomi. Morricone ha saputo declinare la sua arte spaziando per generi molto diversi tra di loro, ma sempre nel segno del dialogo. E’ un esempio anche per l’oggi?
Era capace di fare gratuitamente cose anche con registi giovani. Il primo film con Tornatore l’ha fatto gratis per stima verso il giovane regista. Gli americani, invece, li faceva pagare… Nei rapporti con le persone non agiva per sentito dire:
per essere amico di qualcuno doveva stimarlo.
Anche con me, prima mi ha messo alla prova, mi ha quasi maltrattato. Poi, nel 1993, quando ho tenuto un concerto al Foro Italico sulle musiche di Abramo, mi ha chiesto un bis. Me l’ha urlato in romanesco dalla prima fila. Non ha mai voluto vedere una mia partitura, nonostante io gli chiedessi sempre un suo parere perché avevo il terrore del suo giudizio. Garantiva per me con i co-produttori americani, semplicemente sulla base della stima. “E non dire che te l’ho guardata io”, mi raccomandava. Era meraviglioso.
Quale messaggio lascia Morricone al mondo della musica? Qual è il suo testamento, in particolare per i giovani?
Io spero che i giovani imparino il suo rigore e la sua capacità comunicativa.
La musica, diceva lui, o c’è o non c’è, indipendentemente dal nome di chi la compone.
Se la musica c’era, eri degno della sua attenzione, sennò non eri niente. La musica la si fa per tutti, è un altro insegnamento di Morricone da raccogliere. Lui era capace di grandi raffinatezze, di una ricerca di suoni che sapeva servirsi delle cose più originali e innovative. Ma i temi delle sue canzoni li sappiamo tutti a memoria, li sentiamo perfino nelle pubblicità, perché hanno una forza comunicativa straordinaria, capace di produrre emozioni che arrivano al cuore.