Manganellate a Pisa. Fiasco: “È stata la sconfitta della Repubblica, delle istituzioni”
Il sociologo, esperto in tema di sicurezza pubblica, non nasconde al Sir amarezza per quanto accaduto e mette in guardia di come sia pericoloso fare polemiche sul tema. Perfetto il richiamo di Mattarella che “in una riga ha sintetizzato la questione: è mancata l’autorevolezza”
Un’intera squadra del Reparto mobile di Pisa potrebbe finire sotto inchiesta per le manganellate sferrate agli studenti durante l’ultima manifestazione pro-Palestina. In una nota del Quirinale del 24 febbraio sull’accaduto si legge: “Il presidente della Repubblica ha fatto presente al ministro dell’Interno, trovandone condivisione, che l’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”. Di tutto questo parliamo con il sociologo Maurizio Fiasco, specializzato, tra le altre cose, in ricerca e formazione in tema di sicurezza pubblica.
Le parole di Mattarella sono state molto chiare dopo quanto è accaduto a Pisa…
Quello che è avvenuto a Pisa desta amarezza.
Un’amarezza che nasce davanti al fatto che, dopo le parole definitive del capo dello Stato Sergio Mattarella, invece di ritrovarsi tutte le parti a condividere e a tradurre nella pratica politica, professionale, organizzativa il significato di quelle parole, si continua a far girare il volano della polemica politica. E questo provoca amarezza perché così viene indebolito il messaggio profondamente educativo che il presidente Mattarella ha dato e che vale a fermare le spirali delle tensioni e delle violenze. Ogni strappo dà luogo a uno strappo simmetrico o a una giustificazione di forme che si propongono simmetricamente. Sintetizzando: il fatto che invece di declinare ciascuno nel proprio ambito di responsabilità istituzionali, politiche, organizzative il messaggio chiarissimo del capo dello Stato si sono avvitati in polemiche genera un duplice rischio. Il rischio di una legittimazione di forme di violenza e di forme di proteste che vanno ai limiti o al superamento dei limiti della legalità. Il rischio di legittimare comportamenti violenti e devianti all’interno del sistema delle forze di polizia che sono molto al di là di quello che la legge consente. La funzione di richiamo educativo, etico del capo dello Stato è stata indebolita da questa sconclusionata polemica. E questo amareggia moltissimo chi opera all’interno delle forze di polizia e che si è battuto negli ultimi 40 anni, a partire dalla riforma, per dotare i corpi di polizia di ordinamenti democratici e di una etica del servizio che nel complesso è assolutamente rispettata.
Come si può arrivare alle manganellate?
Il sistema delle forze di polizia organizza centinaia di migliaia di persone, stiamo parlando di un mondo di circa 350mila persone. Anche solo per una probabilità statistica è evidente che in una popolazione così numerosa potrebbero esserci casi di devianza, come ci sono nella sanità, nella pubblica amministrazione, con una differenza: si tratta di 350mila persone in armi, che dispongono di un potere discrezionale, che a certe condizioni sono legittimate a un uso della forza, che svolgono un lavoro delicatissimo, dove un errore non è facilmente correggibile e può avere degli esiti tragici. Quello che sta venendo fuori da parecchio tempo è un deficit preoccupante di direzione e controllo del personale in diversi reparti delle forze di polizia che si è espresso in episodi di natura diversa ma tutti molto preoccupanti: le ronde a caccia di senza casa bastonati e torturati a Verona, i casi di Piacenza, gli episodi che continuano a verificarsi nelle carceri, gli episodi nei Centri di permanenza per rimpatri, gli scontri nelle strade, episodi non ortodossi che si verificano in normali controlli quando una pattuglia si imbatte in sofferenti di mente, in tossicodipendenti. Tutto questo deve preoccupare.
Come si risolvono queste devianze?
Certamente, non con una polemica politica, ma restituendo le responsabilità a chi le ha: non solo chi conduce, dirige, organizza i servizi di polizia, ma anche le istituzioni rappresentative, cioè il Parlamento e il Governo.
Sono molti anni ormai che non si danno indirizzi politici chiari, con raccomandazioni di etica professionale, con scelte di promozione delle attività formative, di riorganizzazione dei reparti.
I fatti del G8 Genova sono ancora lì come un’onta non perché sia mancata la chiarezza processuale, ma perché la lezione di come sia potuto accadere non è stata tratta completamente per fare delle correzioni, anche perché ci sono stati all’Interno molti ministri tecnici che la funzione di indirizzo politico non l’hanno esercitata. C’è un crollo di competenze e di visione nelle sfere apicali della politica sul tema. Questo, a mio avviso, è l’elemento più preoccupante.
Quali rischi si corrono?
Dobbiamo considerare che possono essere tanti i motivi di crisi dell’ordine pubblico: proteste degli agricoltori, degli operai licenziati, di senzatetto, di immigrati sfruttati da caporali, proteste per gli sbarchi degli immigrati, per le condizioni dei Centri di detenzione temporanea, per i sovraffollamenti delle carceri e fin qui siamo all’interno di proteste che hanno un innesco su crisi reali che determinano problemi di ordine pubblico. Poi ci sono problemi di ordine pubblico legati a fatti assurdi provocati da tifoserie violente o da gruppi gregari che si abbandonano a vandalismo il sabato sera nei luoghi della movida.
L’ordine pubblico è la materia più delicata, più complessa del lavoro di polizia per la quale occorre una grande professionalità, una saggezza, quella autorevolezza a cui ha fatto appello il capo dello Stato. Mattarella, infatti, in una riga, ha riassunto tutta la questione: l’autorevolezza, il discernimento, la negoziazione, l’appropriatezza dell’intervento, la responsabilità del decidere.
L’ordine pubblico è per tre quarti negoziazione, per il restante quarto dispositivo tecnico, all’interno del quale c’è una frazione dell’uso della forza razionalmente graduata, quando serve, senza andare oltre i confini della legalità. Da noi esiste l’accezione di ordine pubblico materiale: significa che al funzionario di pubblica sicurezza la legge impone la discrezionalità di valutare, in ragione dell’opportunità di limitare i danni, le scelte tecniche che devono essere fatte. Ad esempio, se davanti una manifestazione durante la quale sono vandalizzate le vetrine il funzionario di polizia, responsabile dell’ordine pubblico, ritiene che un intervento con la forza provochi più danni e più lesioni alle persone del procedere successivamente non in flagranza contro i facinorosi autori degli atti vandalici contro le vetrine e i negozi deve assumersi la responsabilità di deciderlo.
Quali caratteristiche deve avere l’ordine pubblico?
L’ordine pubblico in Italia richiede saggezza, discrezionalità e discernimento da parte del funzionario ed è una vera e propria arte.
Perciò, è importante la questione di come si gestisce, si dirige il personale e si organizzano i servizi in modo da prevenire comportamenti di devianza che per una probabilità statistica e per una subcultura sempre in agguato nelle organizzazioni di caserma possono avvenire. Negli Stati Uniti c’è una letteratura in proposito, in Italia tiriamo avanti con la solita storia delle mele marce. Il sistema di sicurezza pubblica così importante per la nostra vita quotidiana richiede veramente un’altissima competenza, una chiarezza di indirizzi e chiede di non essere strumentalizzata.
Torniamo a quanto diceva prima…
Sì, a monte c’è il disinvestimento della politica dalla cultura della funzione di sicurezza pubblica, della dignità della funzione di polizia, dall’indicare valori alti, una missione alta, davanti a tante matrici di crisi dell’ordine pubblico. Sono anni che non vengono indicate delle missioni di alto profilo e non viene richiamato l’assoluto rispetto dei principi e dell’etica della nostra Costituzione. Questo è trasversale a tutti i partiti e man mano si è fatta strada un’accezione che svilisce una funzione essenziale che deve essere svolta con umanità, con senso di responsabilità, con professionalità e con un totale ossequio alle regole fondamentali della nostra Repubblica.
A Pisa c’è stata la sconfitta della Repubblica, delle istituzioni.
Sulla vicenda è intervenuta anche la diocesi di Pisa…
Anche il giusto richiamo della diocesi di Pisa, attraverso una nota del vescovo, s’inserisce perfettamente in questo ragionamento, manifestando “profonda preoccupazione e sconcerto per gli scontri avvenuti” nel centro della città, ritenendo che “la violenza non sia mai giustificata” e, “in attesa che si faccia luce sull’accaduto e sull’operato delle forze dell’ordine”, auspicando che “tutte le autorità competenti intervengano per garantire il corretto e pacifico confronto democratico, tutelando la sicurezza di tutti, dei giovani in particolare”. Giustamente la diocesi non ha fatto sconti, ribadendo che “il dialogo pacifico e il ripudio della violenza in tutte le sue forme sia l’unico percorso capace di edificare la nostra casa comune su solide basi”.