La storia, antidoto agli slogan. I giovani che rapporto hanno con la Storia e quanto la ritengono importante?
In quale momento la nostra società ha mollato la zavorra del passato e quando abbiamo svincolato i nostri figli dai suoi ingombranti ricordi?
Con la recente scomparsa dello statista Michael Gorbaciov, gli sviluppi della guerra in Ucraina e anche l’imminenza delle consultazioni elettorali nel nostro Paese, la Storia torna a bussare con urgenza alle nostre porte e, in particolare, a quelle dei nostri giovani.
Il presente cita continuamente il passato e lo convoca sul banco dei testimoni per offrire a chi è chiamato a fare delle scelte uno sguardo equilibrato e consapevole. Ma i giovani che rapporto hanno con la Storia e quanto la ritengono importante?
Le indagini più recenti non sono confortanti. Le nuove generazioni hanno una conoscenza superficiale degli eventi del passato, anche di quello relativamente recente, e non sentono neppure la necessità di colmare le proprie lacune. Molti fra di essi non sanno esattamente chi sia Michael Gorbaciov e cosa abbia rappresentato il suo operato per l’Europa intera. Seguono in maniera superficiale e soprattutto “emotiva” le vicende del conflitto in Ucraina, senza approfondirne adeguatamente le cause che lo hanno determinato e le conseguenze che potrebbe generare. Anche gli eventi che hanno segnato l’Italia appena qualche decennio fa sembrano essere a loro estranei. Assistono distrattamente alla celebrazioni di anniversari senza afferrarne fino in fondo la portata. Pensiamo, ad esempio, alle iniziative dedicate fino a qualche settimana fa alla tragica scomparsa dei giudici Falcone e Borsellino.
Il passaggio di secolo pare abbia segnato una sorta di spartiacque tra due ere, il peso della memoria sembra essere rimasto a metà del guado. Dimenticare a volte aiuta, ma è una sensazione illusoria. La mancanza di memoria lascia spazio al vuoto, alla non-identità, alla ripetizione dell’errore, soprattutto offre l’illusione che le nostre vite possano compiersi esclusivamente nello scenario del presente, o di un immaginario futuro.
In quale momento la nostra società ha mollato la zavorra del passato e quando abbiamo svincolato i nostri figli dai suoi ingombranti ricordi?
Probabilmente nel momento in cui in famiglia abbiamo rinunciato alle narrazioni intergenerazionali, privilegiando la comunicazione immediata, concreta, a breve termine. Quando gli anziani sono diventati un peso, più che una risorsa, e quando abbiamo compreso che tornare indietro con la memoria significava mettere in discussione anche le nostre scelte presenti.
C’è da dire, però, che l’approccio scientifico con l’insegnamento della storia avviene tra i banchi di scuola. Qualche occasione, quindi, dobbiamo averla persa anche lì. La disciplina – è vero – spesso risulta un po’ indigesta agli studenti. Generalmente i ragazzi sono incuriositi dal passato, percepiscono il fascino di certi temi, personaggi ed eventi, ma ne rifuggono l’approfondimento. Lo studio della storia richiede applicazione, fatica, memorizzazione e spesso viene insegnata senza troppi slanci, l’entusiasmo annega nell’ansia di scansionarne la mole all’interno del quadrimestre e nella frenesia della valutazione.
Eppure la scuola riconosce, per lo meno in teoria, alla storia un ruolo essenziale dal punto di vista educativo e culturale. Le Indicazioni Nazionali del 2012 mettono in evidenza che “nel nostro Paese la storia si manifesta alle nuove generazioni nella straordinaria sedimentazione di civiltà e società leggibile nelle città, piccole o grandi che siano, nei tanti segni conservati nel paesaggio, nelle migliaia di siti archeologici, nelle collezioni d’arte, negli archivi, nelle manifestazioni tradizionali che investono, insieme, lingua, musica, architettura, arti visive, manifattura, cultura alimentare e che entrano nella vita quotidiana”. La scuola è quindi chiamata a esplorare, arricchire, approfondire e consolidare la conoscenza e il senso della storia.
La senatrice Liliana Segre, qualche tempo fa, sottolineava il rischio che i nostri giovani fossero “derubati” del loro passato. La storia è l’unico vero antidoto agli slogan, alla superficialità, ai tweet, alla fretta. Essa non è solo conoscenza, ma è anche saggezza. Soprattutto, contrariamente a quello che in genere si crede, è scienza del cambiamento, più che della rievocazione. Interpella la coscienza e muove la speranza.