La parola. Con perseveranza oltre il buio
Perseverare non è un atteggiamento che vada di pari passo alla cultura odierna del tutto e subito. Eppure oggi e necessario per progettare la vita oltre la pandemia. Il simbolo di tutto questo è proprio Perseverance, la sonda attraverso cui l’uomo – proprio in queste settimane – continua a cercare la vita fuori dalla Terra, e in particolare sulla superficie arida di Marte
Perseveranza. Una parola cui forse siamo poco abituati, nell’era del tutto e subito, delle relazioni veloci, della fluidità digitale, ma che siamo stati costretti ad assumere, a imprimerci addosso – consapevoli o no – da un anno a questa parte. Una parola silenziosa, per molti aspetti dolorosa, che chiede di permanere nel rigore di una situazione difficile, per raggiungere la propria meta, costi quel che costi. Dopo un anno di pandemia quel “costi quel che costi” ha un peso diverso, quello di vite appese a un filo di ossigeno, quello di serrande chiuse, di visi smarriti attraverso uno schermo. Perché perseverare? Qual è la meta da raggiungere con un costo così elevato?
Ebbene, “perseveranza” è una parola che nelle ultime settimane è rimbalzata in tutto il mondo per un atterraggio, o meglio un ammartaggio, che ha tenuto col fiato sospeso ingegneri e scienziati dopo anni di meticoloso lavoro. Un rover che porta proprio questo nome, Perseverance, è su Marte alla ricerca di tracce di vita passata, un tesoro perduto miliardi di anni fa, ma anche di possibilità future per un nuovo viaggio, una nuova impronta umana da lasciare, stavolta sulla sabbia di un altro pianeta. Se la ricerca di tracce di vita passata parte proprio là dove le condizioni appaiono più favorevoli, i presupposti per un nuovo passo umano stanno nella possibilità di creare propellente per tornare a casa, producendo ossigeno dall’atmosfera marziana. Il rover porta stampata una placca con quasi 11 milioni di nomi di persone di tutto il mondo, un anticipo di umanità che rappresenta tutti noi, profeticamente ancorati alla perseveranza con cui l’uomo continua a cercare nuove opportunità di ritorno alla vita. Perseveranza allora diventa un ponte tra passato e futuro, la ricerca attenta e paziente di quella che era la vita prima del deserto di morte, per ospitare una vita nuova, difficile da proteggere e supportare, con il desiderio di raggiungere nuove frontiere, nuove sfide, nuovo spazio da rendere abitabile. È un ponte che Dio stesso ha attraversato, pazientando, per portare con sé un popolo «dalla dura cervice» e guidarlo verso la terra promessa, la casa cui tornare sempre, al di là di ogni mormorazione, tradimento, abbandono. È la stessa perseveranza che san Paolo, in tempo di persecuzioni nei confronti della Chiesa primitiva, raccomanda di avere nella fede, nel credere che Gesù Cristo, risorto, continua a prenderci per mano e ad accompagnarci attraverso le strettoie più anguste della vita.
Da un anno a questa parte stiamo attraversando il nostro deserto di morte, personale e comunitario. Siamo piombati su un altro pianeta dove manca l’aria, dove non c’è di che dissetarsi. Anche quando di pandemia non si parlerà più avremo bisogno di propellente per tornare a casa. Avremo esplorato luoghi, dimensioni, emozioni che non conoscevamo, o non così a fondo, e che ci hanno cambiato una volta per sempre.
La perseveranza allora può aiutarci a recuperare la meta da raggiungere, non in solitaria ma in comunità: umana, sociale, ecclesiale. La perseveranza è fare memoria di ciò che è davvero indispensabile per vivere, quella perla preziosa per la quale tutto il resto diventa trascurabile; è l’ossigeno che è ancora troppo poco per ritornare a casa, ma che insieme possiamo imparare a ottenere; è l’essere protesi al di là del deserto, della sete, dell’aria che manca, del costo che sembra troppo alto da pagare; è sapere con certezza che in questo cammino non siamo mai soli, nonostante tutto.
E la meta da raggiungere, ancora e sempre, è la Vita stessa.
Astronoma, teologa e collaboratrice
Manuela Riondato, autrice della “Parola” di questa settimana, insegna religione cattolica e coordina le Collaboratrici apostoliche nella nostra Diocesi. Al suo attivo una laurea in astronomia e un dottorato in teologia.