La lezione delle elezioni. Questo momento così delicato per il Paese può tradursi in una interessante opportunità educativa
I giovani costruiscono relazioni sociali, frequentano luoghi di potenziale aggregazione, ma tendono a restare chiusi nel proprio recinto individualistico senza slanci e senza voglia di appassionarsi davvero a qualcosa.
La parte finale della bella estate è per tutti sempre un po’ indigesta. Con il termine delle vacanze si fa fatica a rientrare nei ranghi, a tornare nei ritmi serrati degli impegni familiari e lavorativi. Per gli adolescenti inizia il countdown delle giornate spensierate e divertenti. Appollaiato dietro l’angolo ecco lo spettro della ripresa delle lezioni, per alcuni studenti i primi giorni di settembre segnano già l’appuntamento con gli esami per il recupero delle carenze. Poi c’è la giostra del sonno e degli orari da rimettere in ordine, forse l’impresa più ardua soprattutto per i genitori.
Tra gli appuntamenti autunnali, però, quest’anno ad attenderci non ci saranno soltanto il lavoro e la scuola. Nel giro di qualche giorno ci siamo ritrovati nel pieno di una campagna elettorale che si concluderà il 24 settembre. I media pullulano di bei discorsi e di strabilianti promesse, che ci offrono uno spaccato del Paese in cui viviamo e che solleticano proiezioni di quello in cui idealmente ci piacerebbe vivere. Al di là delle posizioni e delle idee personali, anche alla luce del marcato astensionismo degli under 25 alle passate consultazioni elettorali, questo momento così delicato per il Paese può tradursi in una interessante opportunità educativa rivolta non soltanto ai maggiorenni.
La disaffezione nei confronti della politica non riguarda ovviamente soltanto i giovani, c’è da dire però che non si è investito adeguatamente negli ultimi anni in direzione di una sana educazione all’esercizio dei propri diritti/doveri politici e di cittadinanza. In realtà da un paio di anni a questa parte ci si è impegnati a dare maggiore rilievo ai percorsi di cittadinanza nella programmazione scolastica, ma i temi da trattare sono talmente ampi che forse non sempre si riesce a sviscerarli nella giusta maniera. C’è poi una concreta distanza tra il mondo politica e quello giovanile. Nell’istruzione si continua a investire senza una vera e propria progettualità, il mondo dell’occupazione è deludente e precario, le risposte al disagio e ai malesseri degli adolescenti non sono affatto adeguate. Insomma, i giovani continuano a sperimentare sulla propria pelle la condizione di “anello debole” di una società disorientata e disgregata.
Tra le nuove generazioni, quindi, attecchiscono facilmente movimenti anti-sistema, o di protesta, posizioni a volte estreme di cui alcune forze politiche fanno sciacallaggio. Ci si muove “contro”, più che in nome di qualche idea. Le idee, in effetti, scarseggiano, non trovano radicamento nel terreno degli ideali e dei valori che negli anni si è completamente inaridito. Assistiamo poi a un impoverimento culturale, generato paradossalmente dai media. Si ragiona sempre più spesso sulla povertà educativa e sui danni dell’analfabetismo funzionale.
I giovani costruiscono relazioni sociali, frequentano luoghi di potenziale aggregazione, ma tendono a restare chiusi nel proprio recinto individualistico senza slanci e senza voglia di appassionarsi davvero a qualcosa. Gli esperti parlano di “presenza-assenza”, “debole identificazione”, condizioni che facilmente portano all’apatia nei confronti delle istituzioni e della politica.
La difficoltà che incontrano nell’identificazione è poi figlia di un’epoca che distingue la società quasi esclusivamente in base agli stili di vita e ai consumi. In cui anche un certo tipo di sensibilità sociale, come lo “sviluppo sostenibile” o la “solidarietà”, finiscono spesso per essere banali slogan.
Partecipare alla vita politica di un Paese significa poi “assumersi delle responsabilità”. Ecco un altro tasto dolente del sistema educativo che attualmente continuiamo a percorrere, spesso in buona fede. Non permettiamo fino in fondo che i nostri figli si confrontino davvero con le proprie responsabilità, perché abbiamo paura dei fallimenti che potrebbero sperimentare. Insegniamo loro a “chiedere”, più che a “dare”. In politica tendiamo a fare la stessa cosa: ci chiediamo cosa la politica possa fare per noi, ma non ragioniamo su quello che noi potremmo fare per il nostro Paese.
Ecco. Forse dovremmo ripartire insieme ai nostri figli proprio da questo interrogativo.